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Gustav Klimt e Il limbo degli amanti sleali
Il limbo degli amanti sleali
Come si fa ad amare così profondamente qualcuno e rassegnarsi all’idea di non riuscire a catturarlo?
Tra tutto quel groviglio di corpi, Tindaro aveva scelto Leda, l’unica diversa, e incessantemente tentava di avvicinarla a sé.
Vagavano tutti in perenne attesa, ingoiati nel limbo degli amanti sleali.
Loro non avevano rinunciato ad amare, conoscevano il lato triviale dell’amore, ma anche le angoscianti tragedie di chi, nell’incessante ricerca della passione, fatalmente genera atroci conflitti.
Leda però era distaccata da quel groviglio, per non aver ceduto al pentimento, per aver preferito il ricordo al rimpianto.
Ebe intanto tentava di proteggere il frutto dorato e nettarino del suo tradimento, Eugenio, che soffocato da quei corpi accalcati e contorti, piangeva disperatamente, avvinghiandosi come poteva alla madre, che non riusciva a consolarlo.
Dios invece trascorreva le giornate piegato su se stesso, singhiozzava e diventava scheletrico.
Alexis e Attilos si avvinghiavano l’uno all’altro per dividere e alleviare quella pena infinita.
Hektor, divorato dal rimorso, era già divenuto scheletro.
Anastasio, ormai vecchio, con le mani alle orecchie, silenziava i sensi di colpa.
Christina, sorvegliava e volgeva le spalle infastidita da quell’ammasso informe e dolorante.
Leda invece era diversa, era sciolta, libera, fuori da quei destini, perché non aveva mai rinnegato l’amore che aveva dato a chi non sapeva cosa farne.
Per questo Tindaro se ne innamorò perdutamente, e proprio per questo non l’avrebbe mai raggiunta.
Ecco i demoni che si agitano dentro i corpi di quelli che hanno ucciso la fiducia riposta in loro, costipati nell’ipocrisia del pentimento e nell’aspirazione al misero rimedio.
Leda non avrebbe mai rinnegato il suo libero arbitrio; se fosse tornata indietro non avrebbe percorso le stesse strade, come sempre avrebbe cambiato direzione. Ma sentiva irrinunciabile l’idea che ogni sua scelta era stata giusta eppure irripetibile, orribile eppure sua per sempre.
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Il Canto III e la porta dell’Inferno di Rodin
Con il Canto III dell’inferno il poeta Dante inizia il suo viaggio nel mondo ultraterreno. Lo fa, scegliendo come punto di partenza un simbolo caro alla cultura antica: la porta.
Tradizionalmente infatti, la porta delimitava un confine, una linea chiamata limes che separava la vita dalla morte, il regno dei vivi da quello dei morti.
È la porta dell’Inferno, al di sopra della quale sono scritte queste parole:
’Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
Quando le parole prendono forma…
A dare forma alle parole e all’immaginario di Dante è in questo caso lo scultore francese Auguste Rodin.
Nel 1880 il Mistero della pubblica istruzione di Parigi scelse un giovane artista, ancora poco noto al grande pubblico, per la realizzazione di una porta bronzea per l’ingresso del Museo delle Arti decorative, museo che doveva sorgere dove oggi si trova il museo d’Orsay.
La scelta del tema dantesco per la porta dell’inferno di Rodin
Appena ricevuta la commissione Rodin iniziò subito a lavorare sulla porta, la scelta del tema dantesco non fu certo un caso. Infatti in quegli anni Dante era considerato uno dei giganti della letteratura e preso come modello da moltissimi artisti francesi per la realizzazione di sculture e dipinti.
Inoltre la passione per il Bel Paese e la sua cultura, da parte di Rodin, resero la scelta del tema più che naturale.
I primi studi per la porta dell’inferno di Rodin
Per iniziare a lavorare i suoi modelli Rodin utilizzò gli schizzi e gli studi realizzati durante il suo Tour in Italia, noti anche come Disegni Neri.
L’artista al quale Rodin s’ispirò maggiormente, come vedremo in seguito, fu il grande maestro Michelangelo Buonarroti.
In un primo momento lo scultore pensò alla narrazione dell’inferno attraverso una selezione di episodi da incorniciare all’interno di formelle, citando la cultura rinascimentale italiana con la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze di Lorenzo Ghiberti.
Tuttavia, dopo un’attenta analisi, tale soluzione fu scartata in favore di una narrazione più fluida e continua che interessasse tutta la superficie della porta dai due battenti all’architrave.
L’improvvisa interruzione dei lavori
Quando nel 1889 si capì che il museo non avrebbe mai visto la luce Rodin scelse di bloccare i lavori e la porta rimase in sospeso per diversi anni.
Solo nel 1899 il modello in gesso fu montato per nell’esposizione personale di Rodin a Place de l’Alma nel 1900 e successivamente al Musée Rodin di Meudon.
La porta dell’inferno in diverse parti del mondo
Ad oggi conosciamo molte versioni in bronzo di quest’opera, sono tutti multipli originali, fusi anni dopo la scomparsa dell’artista e che si trovano presso il Museo Rodin di Parigi, a Zurigo, in California, a Philadelphia e a Tokyo.
Nonostante si tratti di un’opera incompleta, tale scultura rappresenta ancora oggi l’emblema dell’arte di Rodin.
Si tratta di una porta colossale. Misura infatti sei metri in altezza per quattro metri in larghezza. La superficie contiene più di duecento figure scolpite e ispirate interamente alla commedia dantesca.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno 1880-1917, Bronzo, 635×400×100 cm Musée Rodin, Parigi Ma cosa sceglie di raccontare Rodin?
L’artista sceglie di rappresentare l’intera cantica dell’Inferno, raccontando le vicende e le passioni dei personaggi simbolo del primo regno. Rodin decide di far muovere tutte le figure per mano di quel vento incessante che Dante continuamente cita nella narrazione, come metafora dell’abbandono.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno, calco in gesso L’amore di Paolo e Francesca
Uno dei canti che più affascina Rodin è il V canto dell’Inferno con i Lussuriosi e il celebre amore di Paolo e Francesca. Per descrivere al meglio la figura dei due amanti, Rodin scelse di realizzare la scultura nota come Il Bacio. Questa è tra le opere più famose dell’artista e fu presentata in un’esposizione al Louvre che la destinò alla celebrità.
Nonostante il notevole risultato Rodin cambiò idea, ritenendo questa scena troppo intima e romantica per descrivere la dannazione dei due amanti.
Auguste Rodin, Il Bacio 1888-1889, Musée Rodin, Parigi
Scelse di sostituirla con un’altra famosissima opera intitolata Fugit amor. Due figure pensate separate, l’una di spalle all’altra e incatenate tra loro, dall’andamento sinuoso e fluido.
Auguste Rodin, Fugit amor, circa 1892-1894, Musée Rodin, Parigi
Lo stesso scultore afferma:
« Quando i personaggi sono perfettamente modellati, si avvicinano l’uno all’altro, raggruppandosi da soli. Io ho calcato due personaggi separatamente, li ho messi insieme e ciò è bastato»
Auguste RodinRodin alla fine, scelte di collocare il gruppo scultoreo di Paolo e Francesca per ben due volte sulla porta: sia sul battente di sinistra che su quello di destra, in posizioni diverse.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio battente
Il fascino della dannazione
Quello che Rodin vuole raccontare mediante queste figure è da una parte la drammaticità narrata da Dante, ma parallelamente la bellezza che si cela dietro la poesia della Commedia e l’irresistibile fascino che spinge l’uomo alla dannazione. E’ qui da comprendere anche quanto Rodin fosse vicino alla poesia francese dell’epoca il cui capolavoro, I Fiori del Male di Baudelaire, Esaltava la ricerca della bellezza in ogni aspetto della realtà, concependo e facendosi forza anche dell’estetica del male e del brutto.
“Inno alla bellezza”
Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,
Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino.
Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;
profumi l’aria come una sera tempestosa;
i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora
che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.
Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
Il Destino irretito segue la tua gonna
come un cane; semini a caso gioia e disastri,
e governi ogni cosa e di nulla rispondi.
Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,
dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,
l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.
Verso di te, candela, la falena abbagliata
crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!
L’innamorato ansante piegato sull’amata
pare un moribondo che accarezza la tomba.
Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,
Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta
di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?
Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
tu ci rendi fata dagli occhi di velluto,
ritmo, profumo, luce, mia unica regina!
L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?
Così, attraverso le parole di Baudelaire, la scultura di Rodin prende forma con linee sensuali e sinuose che conferiscono ai corpi contorti e dannati dell’inferno un senso di attrazione e di fascinazione.
L’intento di Rodin è quello di indagare le passioni umane, lasciando da parte la condanna più caratteristica del sostrato culturale medievale della Commedia.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno, particolari battenti Il conte Ugolino
Appena sopra le figura di Paolo e Francesca vediamo un’altra importantissima figura che Dante relega al XXXIII Canto dell’Inferno: il Conte Ugolino.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio conte Ugolino Il Conte Ugolino della Gherardesca fu un nobile pisano attivo nel conflitto guelfi e ghibellini e il quale fu accusato di tradimento e rinchiuso nella torre della Muda insieme ai suoi figli e ai nipoti.
Al Conte in vita fu inflitta la pena più atroce di tutte, vedere i proprio figli morire ed essere inermi difronte a tale evento.
Una nuova iconografia
Tradizionalmente il Conte veniva rappresentato seduto con accanto i proprio figli. Rodin invece stravolse l’iconografia accademica.
Lasciatosi ispirare dalle parole di Dante, Rodin scolpì Ugulino accasciato a terra, che tasta disperatamente i corpi dei figli esanime, piegato dal dolore e dalla fame.
Nel volto scolpito da Rodin vi è tutta la disperazione e l’agonia narrata nelle terzine del Sommo poeta.
Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio conte Ugolino Jean-Baptiste Carpeaux, Ugolino con i suoi figli 1865-67 Metropolitan Museum of Art, New York
Le tre ombre
A coronamento della porta trovano posto i tre spiriti fiorentini incontrati da Dante nel Canto XXV, nell’ottavo cerchio, quello dedicato ai ladri.
Il numero tre è un numero che si rintraccia nella Commedia dalla scelta di tre cantiche, ai trentatré canti fino alle terzine .
A tal proposito Rodin realizza le Tre ombre, un’unica figura che ruota in tre angolazioni diverse, il perno di rotazione è il braccio proteso in basso ad indicare la discesa nel baratro. Un monito per ricordarci cosa ci aspetta se incuranti della nostra condotta nella vita terrena.
Una composizione plastica che svela da ogni angolazione scorci espressivi diversi.
Rodin qui ha in mente le anatomie, i corpi e i volti creati da Michelangelo nella cappella Sistina.
Auguste Rodin, Le tre ombre (1886 circa), Musée Rodin, Parigi Il Pensatore
La statua del Pensatore, è collocato sull’architrave della porta.
Una figura seduta china in avanti con il mento appoggiato sulla mano destra.
Il modello artistico di riferimento per tale opera fu anche in questo caso Michelangelo con il Lorenzo de’Medici della Sagrestia Nuova, noto all’epoca come il Pensieroso. Mentre per la plasticità anatomica e la contrazione muscolare un altro riferimento fu la statuaria classica con il torso del Belvedere.
Michelangelo Buonarroti, Ritratto di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, 1531-1534, San Lorenzo, Sagrestia Nuova, Firenze Apollonio di Atene, I sec. a.C. Museo Pio-Clementino, Musei Vaticani, Città del Vaticano
Rodin fu un convinto assertore della necessità di esprimere il movimento attraverso la tensione plastica delle membra, non attraverso la mimesi fotografica dell’atto.
L’emblema del genio dantesco
Auguste Rodin, La porta dell’inferno, dettaglio Pensatore Durante la lavorazione di questa scultura Rodin identifica la figura del Pensatore con quella di Dante stesso. Il Sommo poeta seduto nella parte più alta, che osserva l’inferno e riflette su ciò che vede; parallelamente è anche il Dante creatore della cantica.
E come Cristo nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina è posto al centro a governare la complessità e la confusione di un groviglio di corpi.
Il pesatore diventa l’emblema dell’artista, del genio, del poeta di colui che medita sul mondo, raccontandolo attraverso l’arte.
Auguste Rodin, Il Pensatore, Musée Rodin, Parigi
Il genio di Dante supera i confini del tempo e dello spazio, e dalla sua arte sono nate e nascono ancora oggi altre opere, in un circolo virtuoso in cui l’arte genera arte, il bello genera bello.
Cosa pensa Rodin di Dante…
«Dante non è solamente un visionario e uno scrittore; è anche uno scultore. La sua espressione è lapidaria, nel senso buono del termine. Quando descrive un personaggio, lo rappresenta solidamente tramite gesti e pose. […] Ho vissuto un intero anno con Dante, vivendo di nulla se non di lui e con lui, disegnando gli otto cerchi dell’inferno…»
Auguste Rodin, Il Pensatore, Musée Rodin, Parigi