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    Les demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso

    Les demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso è l’opera che spalanca le porte all’arte del Novecento. Realizzata nel 1907 e oggi conservata al MoMa di New York è la tela simbolo di quello che sarà, l’anno successivo, iniziato a definire ‘cubismo’. Tre nomi, insieme a quelli di Picasso e Braque (i padri di questa arte), ci aiuteranno a comprendere la genesi di quest’opera e a entrare in questa tela mostruosa. 

    Mostruosa, nel senso letterale e originario del termine: un qualcosa che crea scalpore, un prodigio, un ammonimento. Sì perchè fu proprio stupore, spesso tendente a sdegno, che quest’opera provocò nel 1907, in chi la vedeva. E tra gli altri è importante ricordare lo sprezzo del critico Louis Vauxelles il quale, nel 1908, scrivendo di ‘bizzarries cubistes’, andò a definire quel nascente movimento: il cubismo.

    Les demoiselles d’Avignon e Henri Matisse

    Les demoiselles d’Avignon, Picasso

    Il primo nome che ci aiuterà a penetrare al dentro dell’opera è quello del celebre artista e amico di Picasso Henri Matisse. Egli sembra avere un ruolo chiave nell’esperienza artistica del cubismo in genere (aveva descritto alcune tele di Georges Braque come composte da “piccoli cubi”), ma anche nell’elaborazione de Les Demoiselles d’Avignon. L’artista infatti aveva acquistato una tela di Cézanne raffigurante tre bagnanti e, Picasso, sicuramente ebbe modo di osservarla e poterla studiare. Il tema delle bagnanti, soggetto classico per la raffigurazione di nudi senza la generazione di scandali e clamori, era allora molto praticato.

    Les demoiselles d’Avignon, Picasso
    Trois baigneuses – three bathers, 1879-1882 Canvas, 53 x 55 cm

    La classicità e Les demoiselles d’Avignon

    Sembra che Picasso partì proprio da qui per l’elaborazione della sua tela. Ne sono sintomo e segnale la nudità dei corpi e la similarità delle pose di due tra le cinque donne raffigurate. Si noti, tra l’altro, anche il forte richiamo alla classicità, alla Venere di Milo, o al prigione michelangiolesco. Ma Picasso riprende dall’iconografia delle bagnanti anche il drappo che scende lateralmente e che, la prima donna pare scansare con entrambe le mani per entrar nel dipinto. 

    Les demoiselles d’Avignon

    Dunque un tema già trattato in pittura e non poco. Solo che Picasso lo decontestualizza, traendolo fuori dalla sua aurea innocua e antica e facendo di quei cinque corpi, che dai bozzetti pare dovessero essere accompagnati da due uomini, delle prostitute di uno dei più celebri bordelli (il d’Avignon appunto) di Barcellona. Picasso, come molti degli artisti a lui contemporanei, ritrae la società del suo tempo, ne coglie le contraddizioni e ne carpisce gli umori.

    Les demoiselles d'avignon Picasso bozzetto

    Picasso e la scultura africana

    Sempre a Matisse, e certamente alla temperie culturale che pervadeva la Parigi di inizio Novecento, è collegata la fascinazione da parte di Picasso per la scultura africana. Max Jacob ricorda che Picasso scoprì le prime sculture proprio nell’atelier di Matisse e che, il giorno dopo averle vedute iniziò a realizzare alcuni disegni di teste con un solo occhio. L’arte tribale africana, con le sue linee schematiche e geometriche entra anche nelle Demoiselles e in numerose altre opere dello stesso periodo. Maschere, acconciature, tagli, colori.

    Cézanne e Les demoiselle d’Avignon

    Cézanne è il secondo nome, già in parte citato, che ci permetterà di comprendere gli studi di Picasso su quest’opera. Partiamo da una delle citazioni più celebri che illustra la volontà dell’arte di Cezanne: 

    «Bisogna trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono».

    Cézanne

    Una sorta di natura geometrizzata, comprensibile e quindi sintetizzabile in forme semplici. Questo percepiamo nelle tele di Cezanne, e in parte lo osserviamo anche nelle opere cubiste, dove però, avviene un ulteriore passaggio. Un passo dettato dalla volontà di comprendere a fondo la realtà, tralasciando il visibile, scomponendola e riportandola sulla tela mostrandone tutte le facce. Non più dunque un pittore che osserva e ritrae un mondo composto di solidi, bensì un artista che gira attorno alla realtà la comprende nel complesso e tenta di restituirlo per intero in barba alle regole della verosimiglianza e del naturalismo.

    «Il cubismo ha obiettivi plastici. Non lo consideriamo solo uno strumento per esprimere ciò che percepiamo con l’occhio e con la mente, sfruttando tutte le possibilità che appartengono ai requisiti essenziali del disegno e del colore. Ciò è stato per noi una fonte di gioie inaspettate, una fonte di scoperte»

    Pablo Picasso

    Nel dipinto vi è infatti una pluralità di prospettive e punti di vista, una compresenza che fa sì che non venga più percepito come una finestra che dà su un bordello, bensì come uno studio, umano e scientifico, nella sua frammentazione di ornato bidimensionale.

    E infine…Albert Einstein e Les demoiselles d’Avignon.

    L’ultimo nome è quello di Albert Einstein. Non certo perchè i due si conoscessero, ma per una profonda casualità entrambi iniziarono a percepire e comprendere l’importanza della variabile tempo all’interno dei propri studi. Il tempo viene considerato in qualità di quarta dimensione, nella scienza (con un articolo del 1905 nella rivista «Annalen der Physik») come nell’arte. Picasso e il cubismo, in altre parole, non rappresentano l’istante, bensì l’evoluzione della loro conoscenza del reale, tanti momenti di studio, di visione e di comprensione, restituendo allo spettatore un’esperienza (non un immagine) della realtà.

    Le cinque donne e la natura morta

    Les demoiselles d’Avignon, Picasso

    Ecco allora le cinque cinque donne in pose differenti. Dalla figura rappresentata di profilo sulla sinistra, che richiama alla mente i profili egizi, lo sguardo passa alle pose statuarie delle due figure centrali per poi posarsi sulle due ultime donne africanamente ‘trasfigurate’, l’una in piedi l’altra accovacciata.

    Cinque prostitute non erotiche, donne che mostrano la contraddizione di un’epoca

    E in questa lettura da sinistra a destra non si dimentichi la natura morta alla base del dipinto. Un simbolo che ci ricorda quanto l’uomo oggi come allora, non sia altro che parte di quella natura e forse, che sia l’uomo invece nell’errore a chiamare morta ciò che più d’ogni altra cosa è manifestazione di vita.

    Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard
    Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard

    Picasso e Apolinnaire: la poesia dedicata al pittore

    A Picasso

    Non ho più nemmeno compassione di me
    E non so come esprimere il tormento del mio silenzio
    Tutte le parole che avevo da dire si sono mutate in stelle
    Un Icaro tenta di alzarsi fino ai miei occhi
    E portatore di soli ardo al centro di due nebulose
    Che cosa ho fatto alle bestie teologali dell’intelligenza
    In passato i morti riapparvero per adorarmi
    E io speravo la fine del mondo
    Ma arriva la mia col sibilo d’un uragano
    Ho avuto il coraggio di guardare indietro
    I cadaveri dei miei giorni
    Segnano la mia strada e li piango
    Alcuni si putrefanno nelle chiese italiane
    O in boschetti di limoni
    Che fioriscono e insieme fruttificano
    In ogni stagione
    Altri giorni hanno pianto prima di morire in taverne
    Dove fiori di fuoco rotavano
    Negli occhi d’una mulatta inventrice della poesia
    E le rose dell’elettricità s’aprono ancora
    Nel giardino della mia memoria
    Osservo il riposo domenicale
    E lodo la pigrizia

    Come come ridurre
    L’infinitamente piccola scienza
    Che m’impongono i sensi
    Uno è simile alle montagne al cielo
    Alle città al mio amore
    Somiglia alle stagioni
    Vive decapitato la sua testa è il sole
    E la luna il suo collo mozzato
    Vorrei provare un ardore infinito
    Mostro del mio udito tu ruggisci e piangi
    li tuono ti fa da chioma
    E i tuoi artigli ripetono il canto degli uccelli
    li tatto mostruoso m’ha penetrato m’avvelena
    I miei occhi nuotano lontano da me
    E gli astri intatti sono i miei àrbitri senza prova
    La bestia dei fumi ha la testa fiorita
    E il mostro più bello si desola
    Nel suo sapore d’alloro
    Alla svolta d’una via vidi dei marinai
    Che a collo nudo ballavano al suono d’una fisarmonica
    Ho regalato tutto al sole
    Tutto meno la mia ombra
    Le draghe le mercanzie le sirene mezzemorte
    Sprofondavano nella bruma dell’orizzonte i trealberi
    I venti spirarono coronati d’anemoni
    O Vergine segno puro del terzo mese.

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