• arte,  arte contemporanea,  Dante,  medioevo

    Il canto XI del Paradiso: Francesco e madonna Povertà

    Il pellegrino Dante nei suoi canti lascia messaggi, denunce, storie, consigli. Anche in questo XI canto del Paradiso lo fa. Lo fa perchè questo suo viaggio, questi versi, gli hanno cambiato la vita. Perchè Dante scrive? 

    Nel primo canto della Divina Commedia il sommo poeta ci anticipa in realtà il motivo ultimo per il quale egli compì questo viaggio in versi:

    «ma per trattar del ben ch’io vi trovai

    dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte»

    Il ben: l’oggetto della narrazione, il desiderio ultimo del cammino.

    L'incipit dell'XI canto del Paradiso

    Ma veniamo al nostro XI canto del Paradiso al quale Dante dà avvio con queste parole:

    O insensata cura de’ mortali, 

    quanto son difettivi silogismi 

    quei che ti fanno in basso batter l’ali! 

    Chi dietro a iura, e chi ad amforismi 

    sen giva, e chi seguendo sacerdozio, 

    e chi regnar per forza o per sofismi,

    e chi rubare, e chi civil negozio, 

    chi nel diletto de la carne involto 

    s’affaticava e chi si dava a l’ozio,

    quando, da tutte queste cose sciolto, 

    con Beatrice m’era suso in cielo 

    cotanto gloriosamente accolto.

    (XI canto del Paradiso, vv. 1-12)

    Cosa cercano i mortali? Cosa cerchiamo noi qui su questa terra? per cosa battono le nostre ali? a cosa punta il nostro volo di così alto?

    Ora, San Tommaso d’Aquino, che sarà il personaggio narrante di questo canto, ci introdurrà in realtà al vero protagonista. Certo è che, con questo incipit, Dante dovrà proporci una via e presentarci un qualcuno che di volo e di vere ali si intenda. Ma chi è costui? Chi sarà questo maestro del volo?

    I due principi a guida della Chiesa

    La provedenza, che governa il mondo 

    […]

    due principi ordinò in suo favore, 

    che quinci e quindi le fosser per guida.

    L’un fu tutto serafico in ardore

    l’altro per sapienza in terra fue 

    di cherubica luce uno splendore.      

    Due principi dunque, la divina Provvidenza avrebbe inviato nel mondo a guida della Chiesa: Francesco «serafico in ardore» e Domenico che «per sapienza in terra fue». La figura del santo di Assisi verrà ampiamente illustrata in questo canto XI del Paradiso, mentre quella di San Domenico lo sarà nel canto successivo. Questa composizione, da Dante attentamente studiata, ha spinto la critica dantesca a parlare di ‘dittico’: due uomini e due santi posti l’uno di fronte all’altro in una continuità inestricabile, poichè centrale fu il ruolo che ebbero nel rinnovamento della Chiesa. Qui, tratteremo unicamente della prima tavola di questo aureo dittico. 


    Assisi come Oriente

    Dante non ha ancora svelato il nome di questo principe e prima di dare forma al personaggio sceglie di dipingere il paesaggio della tavola:

    Intra Tupino e l’acqua che discende 

    del colle eletto dal beato Ubaldo, 

    fertile costa d’alto monte pende, 

    onde Perugia sente freddo e caldo 

    da Porta Sole; e di rietro le piange 

    per grave giogo Nocera con Gualdo.

    Di questa costa, là dov’ella frange 

    più sua rattezza, nacque al mondo un sole, 

    come fa questo tal volta di Gange.

    Però chi d’esso loco fa parole, 

    non dica Ascesi, ché direbbe corto, 

    ma Oriente, se proprio dir vuole.  

    (Canto XI del Paradiso, vv. 43-54)

    Un personaggio d’Assisi. Anzi, un personaggio da Oriente, poichè da questa cittadina umbra sorse un sole. Si noti qui l’accostamento meraviglioso in termini lessicali tra Ascesi e Oriente: un qualcosa che sale, che tende continuamente e instancabilmente all’alto. Una tendenza che ricalca il desiderio dantesco in questo viaggio ultraterreno, è l’itinerario che porta alla beatitudine, è il cammino che il poeta ci propone.

    La donna amata che pianse «con Cristo in su la croce».

    Di seguito, il sommo poeta che non ha ancora chiamato per nome questo sole, inizia la narrazione di una love story millenaria. Dante comprende che è l’amore ad illuminare le storie degli uomini e sceglie di narrarci la storia di questo principe, di questo sole assisano, attraverso l’amore.

    ché per tal donna, giovinetto, in guerra 

    del padre corse, a cui, come a la morte, 

    la porta del piacer nessun diserra;

    […]

    poscia di dì in dì l’amò più forte.

    Questa, privata del primo marito, 

    millecent’anni e più dispetta e scura 

    fino a costui si stette sanza invito;

    né valse esser costante né feroce, 

    sì che, dove Maria rimase giuso,

    ella con Cristo pianse in su la croce. 

    (Canto XI del Paradiso, vv. 58 sgg.)

    Una love story che trova la sua vocazione ultima in uno sposalizio e come in tutti i matrimoni il focus visivo è la sposa. Chi è questa sposa? Chi questa donna che quando Maria rimase giù, a guardare e piangere il figlio crocifisso, ella con Cristo pianse in sulla croce. Dov’è questa donna? Chi mai l’ha vista questa femmina al fianco di Cristo? Vedete quale genio è Dante a farci credere che tutte le crocifissioni fino ad allora dipinte potessero nascondere in realtà una donna. Chi mai ha visto una crocifissione con una sposa sulla croce insieme a Cristo?

    Cimabue, Crocifissione del transetto sinistro della Basilica di San Francesco
    Giotto, Crocifissione

    Francesco e madonna Povertà

    Dante sta parlando in modo misterioso, questa narrazione è volutamente poco chiara, nebulosa. 

    Ma perch’io non proceda troppo chiuso, 

    Francesco e Povertà per questi amanti 

    prendi oramai nel mio parlar diffuso.      

    Allora Dante ci illumina, facendoci tornare indietro a ciò che finora ha detto. Ora? la vedete la sposa in quelle crofissioni? 

    Essa, Povertà è l’anello di congiunzione. Lui, giovinetto innamorato e finalmente chiamato per nome è Francesco

    Questo sposalizio tra Francesco e madonna Povertà è fecondo, questo amore è ricco:

    tanto che ‘l venerabile Bernardo 

    si scalzò prima, e dietro a tanta pace 

    corse e, correndo, li parve esser tardo. 

    Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! 

    Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro 

    dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 


    Attraverso la figura di Francesco Povertà diviene ricchezza, ben ferace, desiderio di sequela. In un turbinio di versi incalzanti i primi seguaci entrano nella vita del santo compiendo una precisa scelta di vita: ‘scalzarsi’.  

    E tornano allora in mente le domande di inizio canto: dietro a cosa andiamo noi? Per cosa battiamo le nostre ali quaggiù?


    Scopri il canale Youtube Oltre l'Arte

    Ogni settimana nuovi contenuti artistici!


    Le immagini di Francesco da Subiaco a Giotto

    Affresco con Francesco d'Assisi presso il Sacro Speco di Subiaco.

    Conosciamo molte immagini di Francesco. Probabilmente l’affresco conservato nell’Eremo di San Benedetto presso Subiaco è il più antico ritratto che ci restituisce una sua immagine verosimile. In questo ritratto Francesco  non è ancora santo, non è ancora stimmatizzato. Questi due elementi iconografici permettono di ipotizzare una datazione anteriore al 1226.

    Più celebre è l’immagine che Cimabue ci lasciò di Francesco nella Chiesa inferiore di San Francesco in Assisi. In questo volto, in questa figura esile sembra trasparire la descrizione che Tommaso da Celano riporta nelle sue biografie: 

    «Servus Dei Franciscus, persona modicus, mente humilis, professione minor»

    Sarà poi Giotto, nel ciclo delle storie di San Francesco nella Basilica omonima ad Assisi, a incorniciare l’immagine del Francesco santo colui che, secondo a Cristo (alter Christus), è vocato al rinnovamento e alla riedificazione della Chiesa con lo sguardo volto all’insù. 

    Cimabue, San Francesco d'Assisi, chiesa inferiore di San Francesco d'Assisi
    Giotto, spoliazione di San Francesco, Basilica di San Francesco in Assisi

    Dalla spoliazione alle ali di Francesco

    Dante in questa biografia che è l’XI canto del Paradiso cela messaggi. Sceglie l’immagine di Francesco che ritiene essenziale, che reputa probabilmente più viva e vera per l’esperienza cristiana propria a lui e agli uomini del Trecento. L’immagine fondante di tutti gli altri ‘Francesco’ rappresentati: la Povertà.

    Camminando per la navata della chiesa inferiore di Assisi, si è attorniati da due storie che corrono parallele: quella di Cristo sulla destra e quella di Francesco sulla sinistra. Due storie di spoliazione, due storie di nudità. Francesco che si spoglia delle vesti, Cristo che viene spogliato, Francesco che riceve le stimmate e la sua morte, Cristo crocefisso e morto.

    Francesco è alter Cristus, e lo è in questo canto e in questa navata poiché sposo di madonna Povertà fino alla sua morte terrena:

    «a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, 

    raccomandò la donna sua più cara, 

    e comandò che l’amassero a fede;

    e del suo grembo l’anima preclara 

    mover si volle, tornando al suo regno, 

    e al suo corpo non volle altra bara». 

    (Canto XI del Paradiso, vv. 106-117)

    Nudo sulla paglia Cristo nascente, nudo sulla piazza Francesco che sceglie di seguire il Padre suo che è nei cieli nascendo a vita nuova, nudo sulla croce Cristo, nudo sulla terra nuda Francesco stimmatizzato.

     

    Franz von Bayros, illustrazione del Canto XI del paradiso, Vienna 1921.

    Ecco in quest’ultima parola ciò che trasforma la povertà in ricchezza, ecco il ben che Dante trova in questo canto: le stimmate.  Le stimmate, agiscono e vivono sulla carne viva, sulla nudità. Sono il simbolo e il sigillo dell’aderenza a Cristo. Sono, in questo meraviglioso particolare dell’opera di Franz von Bayros le ali di Francesco. Ali serafiche, ali che non si sciolgono, ali che vivono a contatto con quel sole, ali che salgono come Francesco, come Dante, come tutti noi destinati alla pace e alla beatitudine.

    Non è caso che al fondo della navata di spoliazione prima citata si arrivi all’altare, proprio sopra la tomba del Francesco terreno e sotto quattro magnifiche vele. Alzando gli occhi tra la luce dell’oro appare lo sposalizio di Francesco con madonna Povertà che, insieme alle due virtù castità e obbedienza, apre alla raffigurazione della gloria di Francesco, splendente e luminoso nel suo essere creatura di Dio.

    Scopri anche:

  • arte,  attualità,  medioevo

    Il dono del mantello, Giotto e (papa) Francesco.

    Ieri, oggi e domani.

    Tre momenti che trovano in Assisi un punto di congiunzione, in particolar modo in questi giorni piovosi di fine settembre e inizio ottobre. Ieri: Giotto nel ciclo pittorico dedicato alla vita di San Francesco nella sua basilica. Oggi: l’istallazione Eldorato realizzata da Giovanni de Gara sulla soglia della Specialis Ecclesia. Domani: La firma con la quale papa Francesco, venendo ad Assisi il 3 ottobre, emanerà la sua enciclica Fratelli tutti. Non una cosa a caso vediamo perchè…

    La commissione a Giotto

    Siamo alle soglie del Trecento (1297 ca.) , quando viene commissionato a Giotto e alla sua bottega uno dei più importanti lavori, in termini pratici e simbolici, di quell’epoca: la decorazione delle pareti della navata della basilica papale di San Francesco. Il programma iconografico doveva narrare per immagini e parole le storie della vita terrena e i miracoli dell’alter Christus, di colui che rinnovò la spiritualità cristiana facendosi minor. Il ciclo pittorico è inserito in una struttura prospettica di porticato che già Cimabue utilizzò nel transetto della medesima basilica, ma che Giotto innovò amplificandone la profondità e facendo convergere il punto di fuga al centro delle scene centrali di ciascuna campata. Tre o quattro riquadri per campata più due ai lati del portale, per un totale di ventotto scene.

    Il Dono del mantello

    La prima ad essere dipinta, sebbene sia la seconda in ordine di lettura del ciclo che diparte dall’altare e all’altare torna, è la celebre azione del Dono del mantello. Un episodio narrato nella Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio (testo bio-agiografico preso come riferimento per l’intero ciclo pittorico): 

    «Quando il beato Francesco si incontrò con un cavaliere, nobile ma povero e malvestito, dalla cui indigenza mosso a compassione per affettuosa pietà, quello subito spogliatosi, rivestì» (Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior 1, 2)

    Descrizione dell’affresco

    Giotto, Il dono del mantello, Basilica di San Francesco

    I personaggi sono collocati in primo piano, su una sorta di proscenio, quasi irrealmente sospesi in una composizione spaziale che nelle scene successive andrà assumendo maggior rigore e respiro. Al centro Francesco, ancora vestito di un prezioso blu (oggi sbiadito), sta donando il suo mantello ad un uomo. Non a un lebbroso, non a un mendicante. Bensì a un nobile caduto in disgrazia, questo raccontano le fonti e questo si evince da copricapo soppannato in vaio e dal rosso delle vesti. Sulla sinistra protagonista è un cavallo, un tempo bianco lucente, un colore alteratosi come i bianchi del ciclo di Cimabue a pochi passi da lì.

    In secondo piano, ancorati all’immagine bizantino-medievale della raffigurazione ‘a gradoni’ e privi di prospettiva, dominano due colli. L’uno (sulla sinistra) sul quale campeggia la città di Assisi; l’altro, in posizione opposta, con probabilmente raffigurata l’Abbazia di San Benedetto al Monte Subasio. Quest’ultimo un luogo di grande valore storico-artistico, che oggi purtroppo versa in stato di abbandono. I pochi alberi infine sono segnacolo dei boschi che dominavano allora questi colli. Il medioevo non si dilunga nella narrazione e rappresenta, a volte, la parte per il tutto: l’albero per il bosco. 

    La composizione e la testa ‘decentrata’

    Ma a livello compositivo il focus dell’opera è l’aureola di Francesco, sulla quale convergono le diagonali del calare dei colli. La testa del giovane però sembra fuggire da questo centro, perché è come se alla centralità statica preferisse il decentramento dell’azione, dando origine ad una serie di linee e movimenti che conferiscono naturalezza a gesti e sguardi. 

    Ad accentuare il movimento è anche la linea curva del collo del cavallo alle spalle di Francesco. Un animale status simbol e allusione al suo desiderato futuro da cavaliere, ripreso anche nella scena successiva del Sogno delle armi. Ma perché ritrarre questa scena e non l’abbraccio con il lebbroso, un momento centrale nella conversione del santo e da lui citato anche nel Testamento? 

    Di certo più si confaceva un soggetto simile ad una basilica che era vocata ad accogliere il papa e personaggi importanti e tuttavia agli spettatori istruiti di questa scena non poteva non tornare alla mente l’incontro con il lebbroso. Poiché proprio quest’ultimo, narrano le fonti, avvenne al di fuori delle mura cittadine, in un’ambiente probabilmente simile a quello qui raffigurato. Contaminazioni di fonti che dunque si fondono in questo affresco a testimonianza di una vita, la quale anche prima della conversione era destinata alla santità. 

    Eldorato ad Assisi

    Giovanni de Gara, Eldorato, Assisi

    Un procedimento simile è alla base dell’opera d’arte / istallazione Eldorato di Giovanni de Gara. L’artista ha rivestito in occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato le porte della Basilica di San Francesco con coperte termiche. L’oro è simbolo di ricchezza, è il colore dei cieli medievali, è il pigmento della luce ed è il metallo delle porte della salvezza. Ma non è unicamente nel colore la suggestione, seppure lo possa essere esteticamente, ma è nel materiale termico, nella funzione di quei mantelli che abbracciano i profughi, i migranti, gli ultimi in cerca di un’eldorado. È un’immagine di enorme forza espressiva che che crea un cortocircuito nella nostra memoria di immagini, (per molti di noi) solo di immagini e non di esperienze vissute. 

    All’ingresso della basilica di colui che abbracciava il lebbroso, hanno trovato posto questi teli aurei, a memoria di un abbraccio sempre necessario e a ricordo della chiamata ad essere noi, oggi, Francesco.

    Questi due mantelli, quello della scena giottesca e i ‘teli’ di de Gara, sono e saranno presumibilmente al centro della nuova enciclica di Papa Francesco: Fratelli tutti. È la prima volta che un papa sceglie il nome Francesco ed è un fatto eccezionale che egli firmi un’enciclica al di fuori dalla Sede papale.

    Un papa che come Francesco nella scena del mantello sceglie al tempo stesso di decentrarsi e di rimanere centrato. Un decentramento che muove e spinge al prossimo, ma anche una centralità che gli permette di accogliere il ‘bagaglio’ dello spicchio di cielo che sovrasta la sua testa e donarlo, attraverso occhi e mani, all’altro.

    Un papa e due opere che ieri, oggi e domani, hanno parlato, parlano e parleranno di misericordia, proponendo un modus vivendi incentrato su questo dono. D’altronde misericordia è beatitudine, eldorado, salvezza.

    Papa Francesco apre la Porta Santa per il Giubileo della Misericordia