• Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.
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    Il canto V del Purgatorio: la storia di Pia dei Tolomei

    Il canto V del Purgatorio: luce e dolcezza

    Il canto V del Purgatorio dantesco è un teatro di emozioni e un perfetto e sintetico esempio del travagliato cammino che porta le anime in questo regno e, attraverso di esso, al Paradiso.

    «Io era già da quell’ombre partito,

    e seguitava l’orme del mio duca,

    quando di retro a me, drizzando ’l dito,

    una gridò: “Ve’ che non par che luca

    lo raggio da sinistra a quel di sotto,

    e come vivo par che si conduca!“.

    Li occhi rivolsi al suon di questo motto,

    e vidile guardar per maraviglia

    pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.»

    Ecco un dato essenziale di questo nuovo regno: la luce.

    Una luce atmosferica, protagonista di albe e tramonti.

    Una luce che ricorda a Dante e a molte delle anime cosa significhi vivere sulla terra. Quale importanza abbia avere un corpo, ed esserci qui ed ora, artefici e liberi nel presente (vedremo questo che senso avrà). Le anime del purgatorio si trovano a vivere quasi una seconda vita terrestre, perchè temporanea, e questo gli è permesso perchè in vita loro hanno scelto, fatto, creduto.

    Una luce che, meravigliosamente, dopo l’oscurità infernale, torna ad esistere e a dar vita alla bellezza e all’arte. Dante in questo passo della commedia dipinge, e se ne accorsero fino dall’antichità. 

    In questa miniatura vediamo il corpo del poeta fare da schermo alla luce solare. l’ombra e quindi il corpo è segno distintivo dell’uomo pellegrino, dell’uomo che sale, non già dannato, non ancora beato. La luce è qui per Dante il medium per dipingere coi versi quest’immagine nella mente del lettore.

    E’ costante dell’intero purgatorio questa ombra di Dante, come costante è l’appellarsi delle anime a lui.

    Una luce infine che è simbolo di salvazione, un riflesso di rugiada della beatitudine del paradiso, un antipasto della, prima o poi, ventura dolcezza

    Sarà quest’ultima a caratterizzare molte delle figure umane del purgatorio e a costituire forse la tematica più affascinante di questo V canto del purgatorio. 

    Il canto V del Purgatorio: i morti per forza

    Semplicemente le ultime tre terzine di questo V canto del Purgatorio, sarebbero sufficienti per fare esperienza di dolcezza. Possiamo permetterci però un cammino più simile a quello dantesco e il canto quindi lo attraverseremo tutto, seppure celermente, per meglio assaporarne il finale. 

    Ci troveremo ad attraversare folle di anime, con Virgilio che spinge Dante a non fermarsi e a colloquiare e camminare insieme. Dante sembra trovarsi in difficoltà, ma prosegue nel cammino.

    Canto V purgatorio
    Gustave Dorè, Canto V del Purgatorio

    Ora immaginate di essere in un museo. La prima cosa che Dante ci consegna di questo canto è una visione generale:

    «O anima che vai per esser lieta 

    […]

    deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?

    Noi fummo tutti già per forza morti, 

    e peccatori infino a l’ultima ora

    quivi lume del ciel ne fece accorti,

    sì che, pentendo e perdonando, fora 

    di vita uscimmo a Dio pacificati

    che del disio di sé veder n’accora».

    Pentendo, perdonando, pacificati: tre termini che riassumono il senso della vita di coloro che sono morti per morte violenta e, in generale, delle anime del Purgatorio. Tre termini con i quali raccontano brachilogicamente la loro intera vita, la loro morte e e la loro condizione presente.

    La morte di Jacopo del Cassero: lo strazio

    Dopo aver descritto la condizione condivisa di questa folla, un personaggio prende la parola e narra la sua storia: Jacopo del Cassero. Prega Dante di ricordarlo nella sua Fano, affinchè i suoi cari possano, pregando, permettergli l’espiazione dei peccati «purgar le gravi offese». Fu ucciso costui da sicari inviati dal tiranno d’Este nei pressi di Padova, questa la narrazione:

    Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, 

    quando fu’ sovragiunto ad Oriaco, 

    ancor sarei di là dove si spira.

    Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco 

    m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io 

    de le mie vene farsi in terra laco». 

    Che quadro che ci regala Dante, il ritratto d’un uomo còlto nella prigionia del corpo, avviluppato nel momento della morte, costretto al termine della sua vita dalla volontà altrui.


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    La storia di Bonconte: il pentimento

    GUstave Dorè, La morte di Buonconte, canto V del Purgatorio

    A questa storia, quasi stessimo osservando un dittico, Dante collega la seconda:

    Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 

    si compia che ti tragge a l’alto monte, 

    con buona pietate aiuta il mio!

    Anche questo secondo personaggio ancor prima di presentarsi chiede a Dante preghiere. La stessa richiesta sarà nella bocca del terzo personaggio.

    Il futuro (la preoccupazione per la preghiera) e il passato (la narrazione della loro uccisione) sono ricordo e speranza e sono il fil rouge che unisce le tre storie.

    Ma Dante è narratore e pittore arguto. Non ripete mai se stesso. E in ciascuno di questi quadri noi leggiamo tre diversi momenti della stessa morte.

    Con Jacopo del Cassero abbiamo percepito lo strazio. Con Bonconte comprendiamo il perchè queste anime sono al purgatorio nonostante i loro peccati: il pentimento.

    Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 

    […]

    Quivi perdei la vista e la parola;

    nel nome di Maria fini’, e quivi 

    caddi, e rimase la mia carne sola.

    Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi: 

    l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno 

    gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?

    Tu te ne porti di costui l’etterno 

    per una lagrimetta che ‘l mi toglie; 

    ma io farò de l’altro altro governo!”.

    Eccola, eccola la ragione vera, il secondo momento: il pentimento. La lagrimetta è il vero centro morale e fantastico del canto. Una lagrimetta che per il paradosso dell’amore cristiano vale la salvezza eterna. 

    L'immagine di Pia dei Tolomei: la dolcezza

    Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.
    Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.

    Ma siamo alla fine, Al terzo e ultimo quadro che compone questo trittico. Siamo ad una delle più celebri ed enigmatiche figure di donna su cui la critica combatte e s’arrovella.

    «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 

    e riposato de la lunga via», 

    seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

    «ricorditi di me, che son la Pia: 

    Siena mi fé, disfecemi Maremma: 

    salsi colui che ‘nnanellata pria 

    disposando m’avea con la sua gemma». 

    «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via»: E’ una delle entrate più incantevoli di tutta la letteratura. Con quale delicatezza e attenzione entra nella vicenda dantesca questo personaggio. Certo richiede quanto altri prima di lei avevano richiesto, ma lo fa mostrando premura per la stanchezza del pellegrino Dante.

    Questa donna passata alla storia come Pia de’ Tolomei è ad oggi ancora un mistero. Ciò che rimane di questa storia è la violenza che subì da parte del marito, il quale sospettando un tradimento l’avrebbe uccisa. 

    Quante Pia de’ Tolomei potremmo narrare oggi. 

    Rimane poi, al fondo di questa narrazione, la meraviglia di una vita splendidamente racchiusa in un verso: «Siena mi fé disfecemi Maremma» al cui centro permane il continuo fare e disfare proprio della vita terrena.

    Siamo dunque giunti al terzo momento di coloro che abbiamo fin qui definito morti per forza: la dolcezza.

    Dolcezza di donna che ha premura nei confronti di Dante. Dolcezza nel porgersi e nel chiedere il ricordo, con gentilezza. Dolcezza che è anticamera di pacebeatitudine.

    Pia dei Tolomei
    Pio Fedi, Pia dei Tolomei e Nello della PIetra

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  • arte,  Donne d'arte,  preraffaelliti

    Elizabeth Siddal: la donna preraffaellita dai capelli color Tiziano

    Elizabeth Siddal, la donna preraffaellita, è nota al grande pubblico come la bella Ophelia di John Everett Millais (1852). In realtà, la giovane donna, non fu solo la modella della Confraternita Preraffaellita, ma anche un’abile pittrice e poetessa.

    Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita

    Posare per i Preraffaelliti

    Lizzie si avvicinò al modo dell’arte grazie al pittore Walter Howell Deverell, il quale la notò per i suoi lineamenti non convenzionali, la carnagione pallida, gli occhi grandi e la chioma rosso Tiziano; tutti elementi tipici di quella bellezza decadente di epoca vittoriana che tanto era apprezzata dagli artisti. 

    La ragazza attirò fin da subito l’attenzione dei giovani preraffaelliti: William Holman Hunt, John Everett Millais e di Dante Gabriel Rossetti.

    Proprio di quest’ultimo fu la modella prediletta e amante, ritratta dall’artista come Beata Beatrix, identificando in lei l’angelica donna fonte d’ispirazione e in lui, il pittore, il sommo poeta del Dolce Stil Novo.

    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix, ca 1864-70.

    L’amore e il tormento per Rossetti

    L’amore tra i due fu tutt’altro che romantico e puro. Rossetti desiderava  “migliorarla”, renderla più meritevole di essere la sua compagna, specialmente agli occhi della sua famiglia; spingendola così a diventare un’artista e migliorare il suo status sociale. Fu proprio lui ad insegnarle i rudimenti della pittura e ad avviarla alle prime esposizioni. 

    Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita, realizzò opere ispirate al ciclo Arturiano e alle tipiche ambientazioni medievali come la Dama di Shallot (1853), il Lamento della donna (1857) e la Ricerca del Santo Graal (1855-1857). 

    Il successo artistico

    Lo stesso John Ruskin, autorevole critico d’arte e sostenitore della Confraternita Preraffaellita, riconobbe in Lizzie una valida artista, definendola “geniale”. Egli decise di investire nel talento della giovane offrendole un sostegno economico e diventando il suo mercante d’arte. 

    A conferma delle sue capacità artistiche fu chiamata a partecipare, come unica donna, all’esposizione del 1857 al Salone Preraffaellita con alcuni disegni e un autoritratto ad olio. 

    Elisabeth siddal autoritratto
    Autoritratto, 1857

    Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita

    Purtroppo il successo in ambito artistico non riuscì a salvare Lizzie dalla depressione che la portò ad un destino triste e oscuro. A causa della sua salute cagionevole iniziò a fare uso di laudano, fino a diventarne dipendente. Inoltre la condotta infedele dell’amato Rossetti e la perdita della loro primogenita (1961) aumentò in lei il senso di inadeguatezza e sofferenza, un dolore talmente insostenibile che la spinse, all’età di soli 32 anni (1862), a togliersi la vita avvelenandosi con un’intera dose di  laudano.  Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita.

    Elisabeth siddal, Dante Gabriel Rossetti, regina cordium
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti, Regina Cordium 1860

    Tutto il suo tormento Elizabeth lo trascrisse in quattordici poesie che furono pubblicate solamente nel 1906 per volontà di William Michael Rossetti, fratello di Dante.

    In questi componimenti Lizzie esprime tutta la sua infelicità descrivendo quel doloroso e sottile confine che c’è tra l’amore e la morte. 

    Dead Love

    Oh never weep for love that’s dead
    Since love is seldom true
    But changes his fashion from blue to red,
    From brightest red to blue,
    And love was born to an early death
    And is so seldom true.

    Then harbour no smile on your bonny face
    To win the deepest sigh.
    The fairest words on truest lips
    Pass on and surely die,
    And you will stand alone, my dear,
    When wintry winds draw nigh.
    Sweet, never weep for what cannot be,
    For this God has not given.
    If the merest dream of love were true
    Then, sweet, we should be in heaven,
    And this is only earth, my dear,
    Where true love is not given.

    Amore finito

    Non piangere mai per un amore finito
    poiché l’amore raramente è vero
    ma cambia il suo aspetto dal blu al rosso,
    dal rosso più brillante al blu,
    e l’amore destinato ad una morte precoce
    ed è così raramente vero.

    Non mostrare il sorriso sul tuo grazioso viso
    per vincere l’estremo sospiro.
    Le più belle parole sulle più sincere labbra
    scorrono e presto muoiono,
    e tu resterai solo, mio caro,
    quando i venti invernali si avvicineranno.

    Tesoro, non piangere per ciò che non può essere,
    per quello che Dio non ti ha dato.
    Se il più puro sogno d’amore fosse vero
    allora, amore, dovremmo essere in paradiso,
    invece è solo la terra, mio caro,
    dove il vero amore non ci è concesso.

    Elizabeth Siddal
    Ophelia, John Everett Millais, Elisabeth siddal
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dettaglio Ophelia di John Everett Millais 1852