• arte,  raccontarti

    Beata solitudo, sola beatitudo

    Era giugno inoltrato. Erano seduti attorno a un tavolinetto rotondo, tutti ancora nei loro abiti di scena. Alteri e orgogliosi, sembrava stessero recitando, anche lì, in quel frangente. Chissà se quella sera, prima di prendere posto nel locale, erano stati padri, fratelli, medici, assassini, amanti o amati. 

    Li osservavo impalata nel mio bell’abito verde e, per un attimo, mi feci cullare dal pensiero che anche io avrei potuto essere una di loro. Con una trama definita e mai più sola.

    Sempre affascinata dal mondo degli attori, mi incuriosiva l’idea che vivessero per quell’attimo di riconoscenza in cui, a fine spettacolo, il loro volto si rispecchiava negli occhi luminosi di un pubblico grato.

    Mi guardai intorno e mi resi conto che in fondo era tutto un grande teatro. Anche io avrei dovuto recitare per avere la possibilità di stare al mondo? 

    Perfino il locale sembrava una quinta teatrale. Sulle pareti erano dipinte ingenuamente una balaustra di pietra bianca, il mare blu, il cielo turchese e tante colorate lanterne di carta.

    Con una trama definita e mai più sola, continuavo a ripetermi in testa.

    Sarei stata spettatrice di un mondo nel quale non mi riconoscevo? O mi sarei finalmente confusa tra la gente, accettando il compromesso, ma godendo dei privilegi dell’appartenenza?

    Con una trama definita e mai più sola.

    Decisi così di abbandonare il locale e salire sulla corriera, tutta vecchia, con le panche in legno e semivuota, che mi avrebbe portata a casa. Fuori dai finestrini piccoli, la luce infinita della sera. Il mio sguardo, smarrito ed estasiato, venne catturato da un piccolo teatro poco illuminato. Impulsivamente chiesi all’autista di fermarsi.

    Mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso del teatro, nella penombra. Se fossi entrata sarei diventata un’attrice. Finalmente sarei stata parte di qualcosa, con una trama definita e mai più sola. 

    Bussai. Ad un tratto alzai lo sguardo e vidi il mio riflesso sulla porta a vetri dell’ingresso. Sentii una voce che urlava  ̶  arrivo!  ̶  . Mi guardai attraverso quel riflesso e di scatto mi voltai per andare via, mentre la porta alle mie spalle si apriva.

    Era chiaro che, nonostante i mille tentativi di riconoscermi in qualcosa, in fondo, sarei sempre stata io. Ella. Con una trama indefinita e per sempre sola.

    Edward Hopper, Soir Bleu 1914
  • arte,  raccontarti

    Gustav Klimt e Il limbo degli amanti sleali

    Il limbo degli amanti sleali

    Come si fa ad amare così profondamente qualcuno e rassegnarsi all’idea di non riuscire a catturarlo?

    Tra tutto quel groviglio di corpi, Tindaro aveva scelto Leda, l’unica diversa, e incessantemente tentava di avvicinarla a sé.

    Vagavano tutti in perenne attesa, ingoiati nel limbo degli amanti sleali. 

    Loro non avevano rinunciato ad amare, conoscevano il lato triviale dell’amore, ma anche le angoscianti tragedie di chi, nell’incessante ricerca della passione, fatalmente genera atroci conflitti.

    Leda però era distaccata da quel groviglio, per non aver ceduto al pentimento, per aver preferito il ricordo al rimpianto.

    Ebe intanto tentava di proteggere il frutto dorato e nettarino del suo tradimento, Eugenio, che soffocato da quei corpi accalcati e contorti, piangeva disperatamente, avvinghiandosi come poteva alla madre, che non riusciva a consolarlo.

    Dios invece trascorreva le giornate piegato su se stesso, singhiozzava e diventava scheletrico. 

    Alexis e Attilos si avvinghiavano l’uno all’altro per dividere e alleviare quella pena infinita. 

    Hektor, divorato dal rimorso, era già divenuto scheletro.

    Anastasio, ormai vecchio, con le mani alle orecchie, silenziava i sensi di colpa.

    Christina, sorvegliava e volgeva le spalle infastidita da quell’ammasso informe e dolorante.

    Leda invece era diversa, era sciolta, libera, fuori da quei destini, perché non aveva mai rinnegato l’amore che aveva dato a chi non sapeva cosa farne. 

    Per questo Tindaro se ne innamorò perdutamente, e proprio per questo non l’avrebbe mai raggiunta. 

    Ecco i demoni che si agitano dentro i corpi di quelli che hanno ucciso la fiducia riposta in loro, costipati nell’ipocrisia del pentimento e nell’aspirazione al misero rimedio. 

    Leda non avrebbe mai rinnegato il suo libero arbitrio; se fosse tornata indietro non avrebbe percorso le stesse strade, come sempre avrebbe cambiato direzione. Ma sentiva irrinunciabile l’idea che ogni sua scelta era stata giusta eppure irripetibile, orribile eppure sua per sempre.

    Gustav Klimt, La Medicina 1901-1907
  • arte,  Dante,  scultura

    Il Canto III e la porta dell’Inferno di Rodin

    Con il Canto III dell’inferno il poeta Dante inizia il suo viaggio nel mondo ultraterreno. Lo fa, scegliendo come punto di partenza un simbolo caro alla cultura antica: la porta.

    Tradizionalmente infatti, la porta delimitava un confine, una linea chiamata limes che separava la vita dalla morte, il regno dei vivi da quello dei morti.

    È la porta dell’Inferno, al di sopra della quale sono scritte queste parole:

    ’Per me si va ne la città dolente,

    per me si va ne l’etterno dolore,

    per me si va tra la perduta gente.

    Giustizia mosse il mio alto fattore;

    fecemi la divina podestate,

    la somma sapïenza e ’l primo amore.

    Dinanzi a me non fuor cose create

    se non etterne, e io etterno duro.

    Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

    Quando le parole prendono forma…

    A dare forma alle parole e all’immaginario di Dante è in questo caso lo scultore francese Auguste Rodin.

    Nel 1880 il Mistero della pubblica istruzione di Parigi scelse un giovane artista, ancora poco noto al grande pubblico, per la realizzazione di una porta bronzea per l’ingresso del Museo delle Arti decorative, museo che doveva sorgere dove oggi si trova il museo d’Orsay.

    La scelta del tema dantesco per la porta dell’inferno di Rodin

    Appena ricevuta la commissione Rodin iniziò subito a lavorare sulla porta, la scelta del tema dantesco non fu certo un caso. Infatti in quegli anni Dante era considerato uno dei giganti della letteratura e preso come modello da moltissimi artisti francesi per la realizzazione di sculture e dipinti. 

    Inoltre la passione per il Bel Paese e la sua cultura, da parte di Rodin, resero la scelta del tema più che naturale.

    I primi studi per la porta dell’inferno di Rodin

    Per iniziare a lavorare i suoi modelli Rodin utilizzò gli schizzi e gli studi realizzati durante il suo Tour in Italia, noti anche come Disegni Neri.

    L’artista al quale Rodin s’ispirò maggiormente, come vedremo in seguito, fu il grande maestro Michelangelo Buonarroti

    In un primo momento lo scultore pensò alla narrazione dell’inferno attraverso una selezione di episodi da incorniciare all’interno di formelle, citando la cultura rinascimentale italiana con la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze di Lorenzo Ghiberti. 

    Tuttavia, dopo un’attenta analisi, tale soluzione fu scartata in favore di una narrazione più fluida e continua che interessasse tutta la superficie della porta dai due battenti all’architrave. 

    L’improvvisa interruzione dei lavori

    Quando nel 1889 si capì che il museo non avrebbe mai visto la luce Rodin scelse di bloccare i lavori e la porta rimase in sospeso per diversi anni.

    Solo nel 1899 il modello in gesso fu montato per nell’esposizione personale di Rodin a Place de l’Alma nel 1900 e successivamente al Musée Rodin di Meudon.

    La porta dell’inferno in diverse parti del mondo

    Ad oggi conosciamo molte versioni in bronzo di quest’opera, sono tutti multipli originali, fusi anni dopo la scomparsa dell’artista e che si trovano presso il Museo Rodin di Parigi, a Zurigo, in California, a Philadelphia e a Tokyo.

    Nonostante si tratti di un’opera incompleta, tale scultura rappresenta ancora oggi l’emblema dell’arte di Rodin. 

    Si tratta di una porta colossale. Misura infatti sei metri in altezza per quattro metri in larghezza. La superficie contiene più di duecento figure scolpite e ispirate interamente alla commedia dantesca. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno 1880-1917, Bronzo, 635×400×100 cm Musée Rodin, Parigi

    Ma cosa sceglie di raccontare Rodin? 

    L’artista sceglie di rappresentare l’intera cantica dell’Inferno, raccontando le vicende e le passioni dei personaggi simbolo del primo regno. Rodin decide di far muovere tutte le figure per mano di quel vento incessante che Dante continuamente cita nella narrazione, come metafora dell’abbandono. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, calco in gesso

    L’amore di Paolo e Francesca

    Uno dei canti che più affascina Rodin è il V canto dell’Inferno con i Lussuriosi e il celebre amore di Paolo e Francesca. Per descrivere al meglio la figura dei due amanti, Rodin scelse di realizzare la scultura nota come Il Bacio. Questa è tra le opere più famose dell’artista e fu presentata in un’esposizione al Louvre che la destinò alla celebrità.

    Nonostante il notevole risultato Rodin cambiò idea, ritenendo questa scena troppo intima e romantica per descrivere la dannazione dei due amanti. 

    Scelse di sostituirla con un’altra famosissima opera intitolata Fugit amor. Due figure pensate separate, l’una di spalle all’altra e incatenate tra loro, dall’andamento sinuoso e fluido.

    Lo stesso scultore afferma:

    « Quando i personaggi sono perfettamente modellati, si avvicinano l’uno all’altro, raggruppandosi da soli. Io ho calcato due personaggi separatamente, li ho messi insieme e ciò è bastato»

    Auguste Rodin

    Rodin alla fine, scelte di collocare il gruppo scultoreo di Paolo e Francesca per ben due volte sulla porta: sia sul battente di sinistra che su quello di destra, in posizioni diverse. 

    Il fascino della dannazione

    Quello che Rodin vuole raccontare mediante queste figure è da una parte la drammaticità narrata da Dante, ma parallelamente la bellezza che si cela dietro la poesia della Commedia e l’irresistibile fascino che spinge l’uomo alla dannazione. E’ qui da comprendere anche quanto Rodin fosse vicino alla poesia francese dell’epoca il cui capolavoro, I Fiori del Male di Baudelaire, Esaltava la ricerca della bellezza in ogni aspetto della realtà, concependo e facendosi forza anche dell’estetica del male e del brutto.  

    “Inno alla bellezza”

    Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,

    Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,

    dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,

    ed in questo puoi essere paragonata al vino.

    Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;

    profumi l’aria come una sera tempestosa;

    i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora

    che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.

    Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?

    Il Destino irretito segue la tua gonna

    come un cane; semini a caso gioia e disastri,

    e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

    Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,

    dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,

    l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli

    sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

    Verso di te, candela, la falena abbagliata

    crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!

    L’innamorato ansante piegato sull’amata

    pare un moribondo che accarezza la tomba.

    Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,

    Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!

    Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta

    di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

    Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,

    tu ci rendi fata dagli occhi di velluto,

    ritmo, profumo, luce, mia unica regina!

    L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?  

    Così, attraverso le parole di Baudelaire, la scultura di Rodin prende forma con linee sensuali e sinuose che conferiscono ai corpi contorti e dannati dell’inferno un senso di attrazione e di fascinazione.

    L’intento di Rodin è quello di indagare le passioni umane, lasciando da parte la condanna più caratteristica del sostrato culturale medievale della Commedia. 

    Il conte Ugolino

    Appena sopra le figura di Paolo e Francesca vediamo un’altra importantissima figura che Dante relega al XXXIII Canto dell’Inferno: il Conte Ugolino.

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio conte Ugolino

    Il Conte Ugolino della Gherardesca fu un nobile pisano attivo nel conflitto guelfi e ghibellini e il quale fu accusato di tradimento e rinchiuso nella torre della Muda insieme ai suoi figli e ai nipoti.

    Al Conte in vita fu inflitta la pena più atroce di tutte, vedere i proprio figli morire ed essere inermi difronte a tale evento. 

    Una nuova iconografia

    Tradizionalmente il Conte veniva rappresentato seduto con accanto i proprio figli. Rodin invece stravolse l’iconografia accademica.

    Lasciatosi ispirare dalle parole di Dante, Rodin scolpì Ugulino accasciato a terra, che tasta disperatamente i corpi dei figli esanime, piegato dal dolore e dalla fame. 

    Nel volto scolpito da Rodin vi è tutta la disperazione e l’agonia narrata nelle terzine del Sommo poeta.

    Le tre ombre

    A coronamento della porta trovano posto i tre spiriti fiorentini incontrati da Dante nel Canto XXV, nell’ottavo cerchio, quello dedicato ai ladri.  

    Il numero tre è un numero che si rintraccia nella Commedia dalla scelta di tre cantiche, ai trentatré canti fino alle terzine .

    A tal proposito Rodin realizza le Tre ombre, un’unica figura che ruota in tre angolazioni diverse, il perno di rotazione è il braccio proteso in basso ad indicare la discesa nel baratro. Un monito per ricordarci cosa ci aspetta se incuranti della nostra condotta nella vita terrena.

    Una composizione plastica che svela da ogni angolazione scorci espressivi diversi. 

    Rodin qui ha in mente le anatomie, i corpi e i volti creati da Michelangelo nella cappella Sistina. 

    Auguste Rodin, Le tre ombre (1886 circa), Musée Rodin, Parigi

    Il Pensatore

    La statua del Pensatore, è collocato sull’architrave della porta. 

    Una figura seduta china in avanti con il mento appoggiato sulla mano destra. 

    Il modello artistico di riferimento per tale opera fu anche in questo caso Michelangelo con il Lorenzo de’Medici della Sagrestia Nuova, noto all’epoca come il Pensieroso. Mentre per la plasticità anatomica e la contrazione muscolare un altro riferimento fu la statuaria classica con il torso del Belvedere

    Rodin fu un convinto assertore della necessità di esprimere il movimento attraverso la tensione plastica delle membra, non attraverso la mimesi fotografica dell’atto.

    L’emblema del genio dantesco

    Auguste Rodin, La porta dell’inferno, dettaglio Pensatore

    Durante la lavorazione di questa scultura Rodin identifica la figura del Pensatore con quella di Dante stesso. Il Sommo poeta seduto nella parte più alta, che osserva l’inferno e riflette su ciò che vede; parallelamente è anche il Dante creatore della cantica. 

    E come Cristo nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina è posto al centro a governare la complessità e la confusione di un groviglio di corpi. 

    Il pesatore diventa l’emblema dell’artista, del genio, del poeta di colui che medita sul mondo, raccontandolo attraverso l’arte. 

    Il genio di Dante supera i confini del tempo e dello spazio, e dalla sua arte sono nate e nascono ancora oggi altre opere, in un circolo virtuoso in cui l’arte genera arte, il bello genera bello.

    Cosa pensa Rodin di Dante…

    «Dante non è solamente un visionario e uno scrittore; è anche uno scultore. La sua espressione è lapidaria, nel senso buono del termine. Quando descrive un personaggio, lo rappresenta solidamente tramite gesti e pose. […] Ho vissuto un intero anno con Dante, vivendo di nulla se non di lui e con lui, disegnando gli otto cerchi dell’inferno…»

    Auguste Rodin, Il Pensatore, Musée Rodin, Parigi

  • Le Violon d’Ingres di Man Ray-PODCARD
    arte,  arte contemporanea,  podcards

    Le Violon d’Ingres di Man Ray-PODCARD

    Man Ray immortalò la sua Musa e Amante Kiki de Montparnasse in uno scatto che la ritrae seduta di schiena completamente nuda.

    Di lei non vediamo le gambe e le braccia, quello che emerge del suo corpo è solo la curvatura delle spalle, il profilo dei fianchi e quello dei glutei.

    Il volto è girato di tre quarti quasi a voler ammiccare all’osservatore.

    Indossa solamente un paio di orecchini e un turbante.

    Accessori che rievocano uno dei miti dell’erotismo occidentale nel XIX secolo, un soggetto caro alla storia dell’arte : l’odalisca

    Sul quel corpo Man Ray traccia due effe. E così improvvisamente Kiki, dalle forme tonde, morbide e desiderose, si trasforma in un violoncello, in  uno strumento da suonare, da toccare e da possedere.

  • arte,  arte contemporanea,  podcards

    Alchimia di Jackson Pollock-PODCARD

    “Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quel che faccio. Solo dopo una specie di “presa di coscienza” vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc. Perché un quadro ha una vita propria. Tanto da lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto col quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere, e il quadro riesce”.

    Jackson Pollock

    Lo sguardo percorre tutta l’opera riempita dal colore che è colato sulla tela in modo del tutto casuale. Le linee si assottigliano e si ispessiscono, acquistano velocità e scorrono lentamente, a seconda della densità della pittura.

    La linea non serve più per descrivere figure o contenere forme, ma esiste in qualità di evento autonomo riportando sulla tela i movimenti del corpo dell’artista e le sue scelte istantanee. 

    Un caos si, ma che esprime armonia, l’assoluto nel gesto del dripping.

  • arte,  Donne d'arte,  preraffaelliti

    Elizabeth Siddal: la donna preraffaellita dai capelli color Tiziano

    Elizabeth Siddal, la donna preraffaellita, è nota al grande pubblico come la bella Ophelia di John Everett Millais (1852). In realtà, la giovane donna, non fu solo la modella della Confraternita Preraffaellita, ma anche un’abile pittrice e poetessa.

    Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita

    Posare per i Preraffaelliti

    Lizzie si avvicinò al modo dell’arte grazie al pittore Walter Howell Deverell, il quale la notò per i suoi lineamenti non convenzionali, la carnagione pallida, gli occhi grandi e la chioma rosso Tiziano; tutti elementi tipici di quella bellezza decadente di epoca vittoriana che tanto era apprezzata dagli artisti. 

    La ragazza attirò fin da subito l’attenzione dei giovani preraffaelliti: William Holman Hunt, John Everett Millais e di Dante Gabriel Rossetti.

    Proprio di quest’ultimo fu la modella prediletta e amante, ritratta dall’artista come Beata Beatrix, identificando in lei l’angelica donna fonte d’ispirazione e in lui, il pittore, il sommo poeta del Dolce Stil Novo.

    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix, ca 1864-70.

    L’amore e il tormento per Rossetti

    L’amore tra i due fu tutt’altro che romantico e puro. Rossetti desiderava  “migliorarla”, renderla più meritevole di essere la sua compagna, specialmente agli occhi della sua famiglia; spingendola così a diventare un’artista e migliorare il suo status sociale. Fu proprio lui ad insegnarle i rudimenti della pittura e ad avviarla alle prime esposizioni. 

    Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita, realizzò opere ispirate al ciclo Arturiano e alle tipiche ambientazioni medievali come la Dama di Shallot (1853), il Lamento della donna (1857) e la Ricerca del Santo Graal (1855-1857). 

    Il successo artistico

    Lo stesso John Ruskin, autorevole critico d’arte e sostenitore della Confraternita Preraffaellita, riconobbe in Lizzie una valida artista, definendola “geniale”. Egli decise di investire nel talento della giovane offrendole un sostegno economico e diventando il suo mercante d’arte. 

    A conferma delle sue capacità artistiche fu chiamata a partecipare, come unica donna, all’esposizione del 1857 al Salone Preraffaellita con alcuni disegni e un autoritratto ad olio. 

    Elisabeth siddal autoritratto
    Autoritratto, 1857

    Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita

    Purtroppo il successo in ambito artistico non riuscì a salvare Lizzie dalla depressione che la portò ad un destino triste e oscuro. A causa della sua salute cagionevole iniziò a fare uso di laudano, fino a diventarne dipendente. Inoltre la condotta infedele dell’amato Rossetti e la perdita della loro primogenita (1961) aumentò in lei il senso di inadeguatezza e sofferenza, un dolore talmente insostenibile che la spinse, all’età di soli 32 anni (1862), a togliersi la vita avvelenandosi con un’intera dose di  laudano.  Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita.

    Elisabeth siddal, Dante Gabriel Rossetti, regina cordium
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti, Regina Cordium 1860

    Tutto il suo tormento Elizabeth lo trascrisse in quattordici poesie che furono pubblicate solamente nel 1906 per volontà di William Michael Rossetti, fratello di Dante.

    In questi componimenti Lizzie esprime tutta la sua infelicità descrivendo quel doloroso e sottile confine che c’è tra l’amore e la morte. 

    Dead Love

    Oh never weep for love that’s dead
    Since love is seldom true
    But changes his fashion from blue to red,
    From brightest red to blue,
    And love was born to an early death
    And is so seldom true.

    Then harbour no smile on your bonny face
    To win the deepest sigh.
    The fairest words on truest lips
    Pass on and surely die,
    And you will stand alone, my dear,
    When wintry winds draw nigh.
    Sweet, never weep for what cannot be,
    For this God has not given.
    If the merest dream of love were true
    Then, sweet, we should be in heaven,
    And this is only earth, my dear,
    Where true love is not given.

    Amore finito

    Non piangere mai per un amore finito
    poiché l’amore raramente è vero
    ma cambia il suo aspetto dal blu al rosso,
    dal rosso più brillante al blu,
    e l’amore destinato ad una morte precoce
    ed è così raramente vero.

    Non mostrare il sorriso sul tuo grazioso viso
    per vincere l’estremo sospiro.
    Le più belle parole sulle più sincere labbra
    scorrono e presto muoiono,
    e tu resterai solo, mio caro,
    quando i venti invernali si avvicineranno.

    Tesoro, non piangere per ciò che non può essere,
    per quello che Dio non ti ha dato.
    Se il più puro sogno d’amore fosse vero
    allora, amore, dovremmo essere in paradiso,
    invece è solo la terra, mio caro,
    dove il vero amore non ci è concesso.

    Elizabeth Siddal
    Ophelia, John Everett Millais, Elisabeth siddal
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dettaglio Ophelia di John Everett Millais 1852

  • arte,  Donne d'arte,  impressionismo

    Berthe Morisot la donna dell’impressionismo

    «La profondità, bisogna nasconderla. Dove? Sulla superficie» 


    Hugo von Hofmannsthal

     

    Édouard Manet, Berthe Morisot con un mazzo di violette 1972

    Berthe Morisot nacque a Bourges il 14 gennaio del 1841 in una famiglia alto borghese. Dopo vari spostamenti, a causa del lavoro del padre come prefetto, nel 1852 Berthe si trasferì a Parigi. Con il sostegno dei genitori, sia lei che la sorella Edma, iniziarono ad interessarsi alla pittura. 

    Le prime opere

    Particolarmente portata per il disegno, Berthe entrò nell’atelier di Joseph Benoit Guichard, allievo di Ingres e Delacroix e amico di Corot. Fu proprio quest’ultimo ad indirizzare la giovane artista alla pittura en plein air

    Le opere di questo periodo sono costellate di persone a lei care e di paesaggi dal sapore poetico, come scrisse Jean Prouvaire in La Rappel

    «Mlle Berthe Morisot ci conduce nei prati bagnati dalla rugiada marina. Nei suoi acquerelli come nei suoi dipinti ad olio ama i grandi prati dove si siede, libro alla mano, qualche donna accanto ad un bambino. Berthe confronta l’artificio affascinante della Parigina con il fascino della natura.»

    Madre e sorella dell’artista, 1869/1870
    Vista di Parigi dal Trocadero, 1871- 1872
    Sotto il lillà a Maurecourt, 1874
    La caccia alle farfalle, 1874

    L’incontro con Manet

    Dal 1864 al 1873 Berthe iniziò ad esporre con regolarità le sue opere al Salon. Fu proprio tra le sale del Louvre che incontrò quello che divenne il suo mentore e amico, Edouard Manet

    Grazie alla vicinanza di quest’ultimo la giovane Morisot entrò in contatto con alcuni dei più celebri artisti dell’epoca, tra i quali Degas e Puvis de Chavannes.  

    La prima esposizione impressionista

    Di lì a poco nella primavera del 1874 Berthe fu impegnata ad organizzare insieme a Monet, Degas, Pissarro, Sisley, Renoir, Guillarme e Cézanne la prima esposizione degli Indépendants presso lo studio del fotografo Nadar in boulevard des Capucines 35

    Catalogo della prima mostra degli Indépendants

    Proprio in questa occasione la pittrice presentò un’opera a lei molto cara:  La culla. Questo dipinto appare come un omaggio all’amata sorella Edma, ritratta mentre guarda teneramente la figlia nata da pochi giorni. 

    La culla, 1872

    Il matrimonio

    In quello stesso anno Berthe si legò sempre di più al fratello di Édouard, Eugène Manet. I due decisero di sposarsi nella primavera del 1875.

    Berthe, nonostante la vita matrimoniale, non distolse mai la sua attenzione dal suo grande amore: la pittura. Fu costantemente impegnata dalla sua ricerca e dal «desiderio di catturare qualcosa di fugace». 

    Nel 1879 mancò all’esposizione impressionista a causa della recente nascita della figlia Julie Manet. 

    Eugène Manet all’Isola di Wight, 1875

    Il tema del ballo

    L’attenzione della Morisot in questi anni si rivolse verso soggetti pittorici apparentemente più frivoli e leggeri, ma che in realtà celano un’indagine psicologia e sentimentale del mondo borghese.

    All’esposizione impressionista del 1880 Berthe presentò Jeune femme en toilette de bal. Un dipinto dal sapore romantico e onirico: una ragazza vestita in abiti eleganti, con il capo leggermente rivolto verso sinistra, osserva attenta qualcosa che è precluso allo sguardo dell’osservatore.

    Giovane donna in tenuta da ballo, 1879

    La prima personale e la morte

    La presenza dell’artista alle mostre impressioniste fu constante fino al 1886, anno della sua ultima partecipazione. Seguì poi nel 1892, successivamente alla morte del marito, la sua prima esposizione personale presso la Galerie Boussod Valadon et Cie

    Il 2 marzo 1895 Berthe morì a causa di un problema polmonare.

    Dopo soli tre giorni gli amici e colleghi : Degas, Monet, Renoir e Mallarmé organizzarono la prima mostra postuma dedicata alla pittrice celebrando una donna, un’amica e un’artista autorevole, che diede il suo importante contributo per l’affermazione di uno dei movimenti artistici più conosciuti e apprezzati della storia dell’arte: l’Impressionismo.

    Autoritratto, 1885