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    La cappella Contarelli e il ‘Caravaggio’ mai rifiutato!

    Le due parole che definiscono a pieno questo luogo sono: «che meraviglia!». Ecco, meraviglia. Non solo perché qui si ammira e si respira Caravaggio. Meraviglia perché in questo angolo di Roma c’è l’opportunità vera di catapultarsi nell’atmosfera della città eterna a cavallo tra Cinque e Seicento. Meraviglia, infine, perché quello che noi vediamo oggi è stato ponderato, scelto, modificato, sbagliato secondo un pensiero e per un contesto che arriva a noi quasi interamente intatto. Entriamo allora al dentro di queste storie per scoprire gli attori, i luoghi, le opere, le idee e i cambi di direzione: La cappella Contarelli

    Poi però, non venitemi a dire che il primo San Matteo fu rifiutato!

    La storia della cappella e il cardinale Mathieu Cointrel

    Roma, San Luigi dei Francesi, a pochi metri da piazza Navona, a fianco di palazzo Madama e di fronte a Palazzo Giustiniani. In questa chiesa Mathieu Cointrel nel 1565 acquistò una cappella della quale, una volta morto nel 1585, si occuparono i Crescenzi quali esecutori testamentari. Mathieu, Matteo, San Matteo. Facile no? Ecco scelto il soggetto delle storie. 

    Ma quando arriva Caravaggio? Ci siamo quasi, ma prima di lui il Crescenzi chiamò due altri artisti: il Cavalier d’Arpino, per la decorazione ad affresco delle pareti laterali e del soffitto e successivamente il Cobaert per la realizzazione di un gruppo scultoreo da porre sopra l’altare.

    Nel 1593 il D’Arpino aveva portato a termine il soffitto, dei laterali e della statua del Cobaert però ancora nel 1597 non v’erano tracce.

    Il cardinal del Monte e la chiamata di Caravaggio

    Ecco allora, dice il Baglione, che Caravaggio «per opera del suo Cardinale ebbe in S. Luigi dei Francesi la Cappella de’ Contarelli». Caravaggio nel 1599 fu chiamato a riparare l’inadempienza del D’Arpino e a realizzare i due dipinti laterali della cappella. 

    Il martirio di Matteo

    Il martirio di San Matteo, laterale destro della cappella Contarelli, Caravaggio
    Il martirio di Matteo, laterale destro della cappella Contarelli

    Il primo di questi ad essere realizzato sembra fosse quello del Martirio di San Matteo. Ebbene sì, iniziamo dalla fine. O sarebbe più giusto dire, cominciamo da quello che cristianamente è un inizio: il martirio, l’uccisione del Matteo celebrante. La critica ha definito il soggetto di quest’opera una «catastrofe sacra», raccontata come fosse «un fatto di cronaca nera in una chiesa romana».

    Matteo, sdraiato a terra con le stesse braccia aperte che poco prima ergeva orante sull’altare, è stato colpito dalla spada dell’aguzzino. Del sangue macchia la veste bianca, mentre egli con un ultimo sforzo si protende ad accettare la palma del martirio. A porgerla è una delle figure più incantevoli pensate dal Caravaggio. Un ragazzetto di cui vediamo il braccio teso in giù, un nido di capelli, due ali spennellate e il corpo incurvato, adagiato sulla nuvola e tagliato dalla luce: un angelo. Al pacato dinamismo di questo giovinetto si contrappone il terrore d’intorno. Scatti, gesta, grida e fughe caratterizzano gli altri personaggi. I due catecumeni con i loro corpi nudi fungono da quinte di manierista memoria. Piene di pathos sono le espressioni del ragazzino e dell’uomo che preso d’orrore apre le braccia, fino al celebre volto, forse un autoritratto, dell’uomo impietosito sul fondo.

    Particolare vocazione di San Matteo
CAravaggio
    particolare del martirio di Matteo, probabile autoritratto di Caravaggio

    Questo è il nuovo inizio di Matteo, il quale viene martirizzato nel luogo in cui prende vita l’esistenza cristiana purificata dal peccato originale: la vasca battesimale. Questo fu inizio anche per il pittore Caravaggio: la prima opera a più figure realizzata per una committenza pubblica. Che meraviglia!

    La vocazione di Matteo

    La vocazione di Matteo, Il martirio di Matteo, laterale sinistro della cappella Contarelli, CAravaggio
    La vocazione di Matteo, Il martirio di Matteo, laterale sinistro della cappella Contarelli

    L’altra tela che Caravaggio realizzò è la Vocazione di Matteo. Qui una bipartizione è marcata dal vestire e dalla posizione delle figure: sulla destra, in piedi, in abiti classici Cristo e l’apostolo Pietro. Da loro, il gesto pacato e certo del braccio levato, della mano e dell’indice a chiamare, genera l’attenzione dell’altro gruppo: degli uomini seduti al tavolo in abiti seicenteschi.

    Un terremoto pervade l’aria di questa stanza. I due giovani seduti sugli angoli di destra del tavolino si volgono a Cristo, con i loro vestiti che richiamano alla nostra mente il dipinto dei bari o della buona ventura.

    Dal lato opposto due figure assorte non levano il viso, l’uno, il più giovane per disperazione forse.

    Chi è Matteo?

    Tra questi, Matteo, centrale: colui che, da buon esattore delle tasse, ancora chiede pegno battendo sul legno la mano destra, mentre con la sinistra levata dice ciò che nella storia è affidato alle parole: ‘chiama proprio me?’. Molto si è discusso e si discute sul quale sia la figura di Matteo. A me pare manifesto: centrale, dinamico (si osservi il movimento di rotazione che compie con le gambe), con lo sguardo e il corpo è rivolto a Cristo. Infine quell’indice puntato a sé. Puntato a sé perché differentemente dal polso e dal dorso della mano, il dito teso sfugge alla luce, suggerendo la direzione di una chiamata rivolta a proprio a lui. 

    San Matteo, vocazione di Matteo, Cappella Contarelli, CAravaggio
    particolare del personaggio di Matteo, nella vocazione di Matteo

    Tutto su questa tela è plasmato da una luce pulviscolare, la citazione della mano michelangiolesca, il profilo e i piedi danzanti del Cristo, la mano imitante di Pietro (una figura questa, che fu posta in secondo momento) mediatrice tra gli osservatori e Cristo. Plasmati poi dalla luce salvifica e direzionale sono i volti di coloro che si accorgono della nuova presenza, tra tutti, Matteo. 

    Particolare del volto di Cristo nella vocazione di Matteo, Cappella Contarelli, Caravaggio
    Particolare del volto di Cristo nella vocazione di Matteo

    E’ proprio la provenienza di questa luce a destare la curiosità di molti studiosi e a far fiorire le più svariate ipotesi: dall’ambientazione esterna della scena, allo scantinato. E torniamo con ciò a quanto prima si era annunciato: il contesto. Caravaggio non fece altro che riprendere la posizione dell’unica fonte di luce naturale della cappella.

    Andate a vederla, ma non mettete il gettone, prima godetevi le tele sfiorate dalla luce naturale e immergetevi nell’originaria essenza di quel dipingere caravaggesco. Una Meraviglia!

    Il ‘primo’ San Matteo e l’angelo. La storia della tela che fu detta rifiutata.

    Ma torniamo alla storia e immaginiamoci questi due capolavori del Caravaggio adornare la cappella all’inizio del Seicento con al centro la statua del San Matteo scrivente del Cobaert. La statua? quale statua? Ah già, quella statua non c’è oggi, la possiamo ammirare nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. Non c’è perché non piacque, non convinse, nonostante i lunghi tempi occorsi per la realizzazione. Ed è proprio in questo tempo di gestazione che al Caravaggio fu probabilmente richiesto di realizzare una tela con il medesimo soggetto: Il San Matteo e l’angelo. Un’altra meraviglia!

    San Matteo e l'angelo, prima versione, Cappella Contarelli
    San Matteo e l’angelo, prima versione

    Il pittore trasferisce sulla tela un rapporto d’intimità inedito tra esseri di diversa natura. Un giovane angelo prende la mano del Matteo adulto e analfabeta e lo accompagna nello scrittura. La dolcezza è quella di un padre che insegna a scrivere a suo figlio, la realtà del quadro è però invertita. L’angelo svogliato sdraiato sul librone, il volto stupito di Matteo, la sua mano che si lascia guidare e i suoi piedi che irrompono sull’altare. 

    Caravaggio San Matteo e l'angelo, prima versione, particolare

    Questa tela oggi non esiste più, fu distrutta dalle bombe che caddero su Berlino. Arrivò probabilmente lì non in quanto rifiuto, come le fonti ‘maligne’ si affrettarono a riportare, quanto piuttosto quale prima versione, una sorta di Lectio facilior provvisoria che ancora seguiva le indicazioni contrattuali di Matteo Contarelli (1565 nella commissione al Muziano). Il contratto citato indicava un’iconografia ben precisa: il San Matteo in sedia e l’angelo in piedi al suo fianco. A quest’opera probabilmente realizzata a cavallo del volgere del secolo e acquistata poi da Vincenzo Giustiniani, seguì nel 1602 la commissione e il compimento del San Matteo e l’angelo che ancora vediamo in situ. Una tela dimensionalmente, stilisticamente e iconograficamente più confacente ai nuovi laterali della cappella. 

    Il ‘secondo’ San Matteo e l’angelo

    San Matteo e l'angelo, seconda versione. Tela centrale della cappella Contarelli
    San Matteo e l’angelo, seconda versione. Tela centrale della cappella Contarelli

    Che meraviglia: un angelo cala dall’alto e inizia a dettare le generazioni bibliche con le quali si dà inizio al Vangelo di Matteo. Il santo sobbalza dalla sua posizione di scrivente, si torce e rischia di far rovinare lo sgabello sull’altare. Una composizione più slanciata, nella quale i piedi permangono sull’altare e le mani dell’evangelista sul librone. Anche qui le figure del santo in actu scribentis e quella dell’angelo in actu dictandi emergono da un fondo scuro con tutta la loro forza espressiva.

    Che meraviglia venire qui in questo luogo e guardare lì dove lo stesso autore potè ammirare le opere frutto della sue mani. Vederle dunque eccezionalmente come e dove le vide e le pensò Caravaggio. Una meraviglia!


    Ancora Caravaggio:


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    Il riposo durante la fuga in Egitto di Michelangelo Merisi da Caravaggio

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    Il racconto di oggi inizia nell’incertezza. Nella stessa incertezza che è propria di alcuni della vita e delle opere di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Un po’ come se il chiaroscuro pervicace delle sue tele si riverberasse, aspro e iconico, sulla persona e sull’artista. Questa tela, Il riposo durante la fuga in Egitto, è una delle prime opere a noi note del giovane pittore lombardo giunto a Roma. Fu probabilmente commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini (come sostiene Mina Gregori) e, di lì a pochi anni, entrò in possesso dell’accentratrice donna Olimpia Maidalchini (ve la ricordate? ne abbiamo parlato nel video dedicato alla Fontana dei Quattro fiumi del Bernini). Oggi è infatti possibile ammirarla a Roma presso la Galleria Doria Pamphili.

    Caravaggio giunse a Roma dopo aver percorso quelle che Roberto Longhi definì le ‘vie dei Campi’, conoscendo e facendo esperienza dell’arte dei fratelli Campi. Sopprattutto però, arricchendosi alla scuola dell’arte lombarda del Lotto, del Moretto, del Moroni e del Savoldo.

    Solo ripercorrendo queste ‘vie’ possiamo contestualizzare quella che altrimenti potrebbe sembrare una figura artistica estranea alla scena della pittura a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Così si avrà a comprendere un Caravaggio figlio del suo tempo, e non del nostro.

    Ma veniamo finalmente all’opera: una tela in formato orizzontale, seppure non troppo, la cui lettura la facciamo partire dal basso, dalla terra.

    Vediamo dapprima un selciato sulla destra coperto di erbe e, spostandoci verso sinistra, osserviamo il disporsi, forse un po’ troppo compendiario, di sassi e foglie secche. È tra questi oggetti che poggiano i piedi dei prtagonisti, sapientemente alternati alle vesti. piedi e panneggi, panneggi e piedi e… fiaschetta! immancabile! 

    E dai panneggi si sale alle ginocchia stanche del San Giuseppe, attorcigliandoci anche noi come il panno bianco attorno alla sinuosa figura stante dell’angelo e abbandonandoci poi al manto soffice della Vergine, anch’esso perso nella natura verdeggiante e rigogliosa.

    Saliamo ancora e in quest’ambiente bucolico, che ben poco ha del paesaggio egiziano e pare piuttosto uno scorcio di campagna romana: la Vergine si è assopita. Sfinita dal viaggio e nella continua cura del figlio, il figlio abbraccia e avvolge. Rimane un profilo di bambino di dolcezza indicibile e un volto in scorcio magistrale, che riporta alla mente la figura della Maddalena penitente. Quest’ultima è un’opera realizzata nello stesso anno (1597) e plausibilmente per lo stesso committente. Inoltre, dietro le vesti e il personaggio di Maria di Maddalena, si cela in entrambi i casi la giovane modella Anna Bianchini.

    Procedendo ancora verso sinistra la scena è interrotta da una nota di naturalismo puntuale: le ali rondine dell’angelo. Ali che Caravaggio riprese dal vero, dai modelli usati nelle rappresentazioni dell’epoca e, forse, dalla sua stessa memoria e dalle immagini degli angeli del Lotto nella pala di San Bernardino in Pignolo.

    L’angelo sembra suonare una pausa, con il volto e l’archetto leggermente sollevati dal violino. Lo sguardo è fisso sullo spartito, leggibile e riconoscibile. Si tratta di un brano del musicista fiammingo Noel Bauldewijn composto nel 1519 e ispirato al Cantico dei Cantici. Maria è qui madre e sposa.

    Riposo durante la fuga in Egitto, particolare

    Ed eccoci a San Giuseppe ‘leggio umano’: gli angeli di Caravaggio sembrano non avere memoria e necessitano sovente di leggii e spartiti. Guardando con attenzione ci accorgiamo che lo stesso modello fu prima San Matteo e Abramo e che siede ora su un sacco più volte usato dal Caravaggio per allestire le scene. Questi sono particolari che rendono Caravaggio vivo e tangibile. Che ci mostrano il dietro le quinte e un pittore che sceglie i suoi modelli, che li fa posare utilizzando oggetti di scena e, che in questo caso, ‘fa bosco’ nel suo studio.

    Il San Giuseppe è in questo dipinto estasiato dalla grazia del giovane angelo. C’è grazia di certo nella figura, ma grazia è in quello che egli suona e nelle promesse che questo brano porta con sé:

    Quanto sei bella e quanto sei graziosa, Carissima mia, in mezzo alle delizie. La tua statura somiglia a una palma e a grappoli somigliano i tuoi seni. Il tuo capo è simile al monte Carmelo […] Una torre d’avorio è il collo tuo.[…] Vediamo se la vigna è tutta in fiore, se i fiori partoriscono la frutta, se sono tutti in fiore i melograni. I seni miei in quel luogo ti darò.

    Quanto è umano questo Giuseppe che, non potendo gesticolare con le mani, lo fa coi piedi, regalandoci un brano di pittura eterno. 

    Giungendo nell’angolo in alto a sinistra ci accorgiamo che è il momento dell’asino (immancabile nell’iconografia della Fuga in Egitto). Costretto anche lui nel quadro fa da fondale ‘peloso’ al San Giuseppe, mentre spostandoci verso destra, diviene anch’esso protagonista col suo occhione diretto dritto verso lo spettatore. Di qui i capelli scompigliati del giovane, al quale Caravaggio ci ha abituato, e la natura, di querce e graminacee, fino a giù sulla destra dove si apre un paesaggio collinare. Il pittore dà all’intera composizione una collocazione reale e plausibile, un particolare nient’affatto scontato nella raffigurazione di una scena biblica. 

    Caravaggio e il suo committente scelsero di rappresentare il più tragico episodio dell’infanzia di Gesù mettendo in risalto la quotidianità e la familiarità delle relazioni. E, in questa quotidianità, dare spazio e valore a quell’unguento profumato che la musica, l’arte, la poesia possono essere nella vita di ciascuno.

    E, se l’angelo stesse veramente suonando un pausa, potremmo trarre da qui un vivido appiglio. Dovremmo cambiare prospettiva e vivere le pause delle nostre vite, questa grande pausa che il Covid sembra essere e che tutti accomuna, come pause ‘da suonare’ in attesa e con il fine della musica. Pause da suonare anelando al momento in cui l’archetto accarezzerà di nuovo le corde di quel violino. La mano, come sempre ci insegna Caravaggio, è la nostra!