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    Claude Monet e la serie delle Cattedrali di Rouen

    «Chiedo scusa ai professionisti, ma non posso resistere al desiderio di fare, per un giorno, il critico d’arte. La colpa è di Claude Monet» (Georges Clemenceau)

    E no caro mio Clemenceau, io la colpa non la darei solamente a Monet, poichè sono molti gli artisti che fanno parlare di loro, o meglio, che fanno sì che si possa e si debba in qualsiasi momento poter discutere di bellezza. Tuttavia almeno per oggi seguiamo i tuoi consigli e ci occupiamo di Monet, di Claude Monet e delle sue cattedrali di Rouen.

    Sono un maleducato, non vi ho presentato Clemenceau, monsieur Georges Clemenceau, un giornalista e il più celebre politico francese di inizio Novecento. Egli fu anche uno tra i più importanti estimatori del fenomeno impressionista. Ma veniamo all’opera, la serie di tele raffiguranti la cattedrale gotica di Rouen.

    Le cattedrali di Rouen

    Monet raffigurò ben 48 volte questa facciata con il portale Ovest e la tour Saint-Romain. Non lo fece scegliendo una visione complessiva e frontale, bensì secondo un’occhio ‘fotografico’, inquadrando parte del soggetto, in scorcio e lasciando al cielo un angolo di tela ritagliato tra i pinnacoli. Alla fantasia dell’osservatore spetta l’arduo compito di completare quelle visioni. C’è certamente in questa scelta l’essere impressionista di Monet, o meglio, il percepire l’influenza della fotografia nella visione e nella composizione delle immagini.

    La rappresentazione della luce

    Tuttavia rimane al fondo anche un qualcosa di più intimo e pratico: per l’artista che Monet fu le opere nascono in qualità di studi. C’è quindi un mettersi in discussione, una ricerca spasmodica della verità, non della verosimiglianza. In altre parole su queste tele vediamo raffigurata sì la vista da una delle finestre del suo atelier, ma quello che colpisce, fino a far parlare di rivoluzione, è il livello di astrazione alla quale Monet giunge nel voler rappresentare la luce. La cattedrale oltre ad essere soggetto diviene allora un mezzo per la rappresentazione.

    Monet aveva scelto di portare avanti questi studi nei mesi di febbraio marzo e aprile di due anni consecutivi, il 1892 e il 1893, affacciandosi su un angolo di città conosciuto a menadito, una finestra sul mondo o meglio sulla luce. 

    Marcel Proust e noi…

    E a noi, che viviamo più di un secolo dopo, nel mondo che fa che da sfondo a schermi, affacciandoci a finestre sì, ma di luce piatta e artificiale; le parole di Marcel Proust ricordano di essere immersi nella quotidianità, ma anche in qualcosa di gran lunga più importante di essa: la natura, la vita. 

    «Queste ore […] dove si scopre la vita di quella cosa fatta dagli uomini, ma che la natura si è ripresa immergendola in sé, una cattedrale, la cui vita, come quella della terra, nel suo doppio rivolgimento si sviluppa nei secoli e d’altra parte si rinnova e finisce ogni giorno».

    Una serie di venti cattedrali fu esposta nel 1895 nella Galleria di Durand-Ruel. E proprio in quell’occasione Clemenceau si rattristava di fronte all’assenza di un compratore che volesse acquistare non un dipinto, bensì l’intera opera. Poiché di un’opera unica per lui si trattava. 

    «Allora, con un ampio colpo d’occhio che abbraccia il tutto, avrete, in una folgorazione, la percezione della cosa fuori del comune, del prodigio. E quelle cattedrali grigie, che sono di porpora o di azzurro violentato d’oro; e quelle cattedrali iridescenti, che sembrano viste attraverso un prisma girevole; e quelle cattedrali azzurre, che sono rosa, vi daranno tutt’a un tratto la visione duratura non più di venti, ma di cento, di mille, di un miliardo di aspetti diversi della cattedrale di sempre nel ciclo immenso dei soli. Sarebbe la vita stessa, così come può essercene comunicata la sensazione nella sua realtà più intensa. Ultima perfezione d’arte fin qui mai raggiunta» (Georges Clemanceau)

    Ora dopo ora, pennellata dopo pennellata, tela dopo tela, ricordiamoci di rendere la nostra un capolavoro.