• arte,  attualità

    L’arte di Jeff Koons

    Noi come i suoi Baloons

    Ora chiudete gli occhi, rilassate i muscoli e, dimenticandovi di ciò che avete attorno, ascoltate il vostro respiro, inspirate…espirate, inspirate…espirate, inspirate…espirate…

    Ecco questo è già un primo passo per capire l’arte di uno tra i più celebri artisti contemporanei, erede di Andy Warhol e autore dei famosissimi Baloon dogs: Jeff Koons.

    Chi è Jeff Koons

    Jeff Koons nasce nel 1955 e compare sulla scena artistica alla fine degli anni Settanta. I suoi primi lavori hanno la forza di estrapolare ciò che più di ogni altra cosa stava modificando la vita pratica e quotidiana delle persone: un telefono, un tostapane, un frigo, e presentarli mutatis mutandis come opere d’arte, ponendoli davanti agli occhi del consumatore/spettatore. 

    Koons quindi inizia riflette e far riflettere sull’eterno binomio arte-mercato che in quegli anni è arte-capitalismo, arte-consumo, arte-pubblicità. La novità, il nuovo esposto e decontestualizzato, poiché tolto alla sua funzione. 

    L’artista elabora una sequenza di novità, new, oggetti, ready made presi dall’arte di Duchamp, mediati dal minimalismo di Flavin e esaltati dal pop di Warhol. 

    La cifra del 'respiro' nell'arte di Jeff Koons

    Di questa serie New, ci interessano i diversi e numerosi aspirapolveri, oggetti del desiderio di migliaia di donne americane, esposti in eterno in vetrine illuminate da neon nelle loro differenti livree di colore. Qui Koons letteralmente mette in vetrina degli oggetti del mercato spostando l’attenzione sulla funzione/vita di queste macchine. 

    Oggetti inattivi diventano arte e, come animali impagliati in un museo naturalistico, vengono privati del loro unico movimento, della loro sola funzione (vitale): del loro respiro. L’aspirapolvere che aspira ed espira diviene, posta in quel contesto, metafora dell’uomo, in quanto partecipa al processo che permette all’uomo la vita. 

    Contenere dell’aria è dunque il sottotesto, la costante di Koons e della sua esperienza artistica. C’è un simbolismo nei gonfiabili, che a che fare con il respiro, con qualcosa che non è visibile.

     

     

    Hoover -Shelton-Pol.tif

    I Baloon dogs di Jeff Koons «canti all'ottimismo»

    Koons dichiarò dopo la vendita di uno dei ballon dog per 58 milioni di dollari: «sono opere simboli di tutti noi, esalare e aspirare aria ci rende inflatables, movimento che è doppio, inalare è movimento della vita, esalare è movimento di morte, ma queste sculture sono canti all’ottimismo a cui macherà sempre il momento della cancellazione». I baloon dogs sono dunque una esaltazione dell’ottimismo di vivere poiché non esaleranno mai l’ultimo respiro. 

    Un’ottimismo caratterizzato dallo stato bambinesco della meraviglia, ma anche dell’incoscienza. Bambinesco è il soggetto, bambinesco è il colore. E Koons sa bene che queste strategie sono le stesse che il capitalismo insinua nella società per rendere anche il bambino un consumatore, un consumatore indiretto. 

    Il Kitsch e il contemporaneo

    Quella di Koons è una forma di rottura netta e sfacciata con l’arte intellettuale degli anni Sessanta e Settanta, è un’arte populista, che prende con se i linguaggi del kitsch.

    C’è infine un’ultimo elemento affatto trascurabile, e che approfondisce ulteriormente la riflessione: La superficie lucida che rimanda all’esterno, specchiando. Cosa nient’affatto nuova. La politura delle superfici è sempre stata utilizzata in arte, dalle pareti marmoree delle chiese che dovevano rispecchiare forme e luci, ai contrasti tra le superfici lisce e quelle lavorate a gradina dei marmi michelangioleschi. 

    E tuttavia, in questi ultimi e nella scultura in generale, la lucidità era utilizzata per mostrare ‘l’interno’, l’anatomicità, la perfezione in essere del soggetto scolpito. In Koons è invece rivelatrice dell’esterno poichè specchia noi stessi, mettendoci impudicamente di fronte ad una verità: questo sei tu! Questi siamo noi!

    Siamo noi nel senso letterale del termine e del soggetto dell’opera: corpi pieni d’aria, effimeri. Ma siamo noi anche nella forma dell’opera d’arte. Questa società, a volte, ci trasforma in grandi, colorati, infrangibili palloncini, compiaciuti e tronfi nelle nostre vanità.

    C’è poi la bellezza e il contrasto tutto contemporaneo, che su quella superficie ci si specchia l’ambiente, il mondo, e quindi il passaggio dall’io al noi diviene impercettibile nella sua vastità.

    Ecco allora, questo siamo noi, volente o nolente è uno specchio del nostro essere oggi. Questa è la forza dell’arte, realizzare opere, oggetti, suoni, immagini che parlino dell’oggi e che propongano riflessioni sullo stato di una società. 

    Un palloncino, noi e il capitalismo.

     Dove esattamente si formulano e si manifestano le novità del pensiero dell’arte della poesia, se tutta l’arte contemporanea è merda? dove il nostro tempo è se stesso?. 

    Jeff Koons a Firenze