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    «Non vi è che la Maternità» l’opera di Gaetano Previati

    Oggi vi parlerò di maternità! Non in senso generale, tranquilli, ne saprei poco nulla! Vi parlerò dell’opera Maternità, di Gaetano Previati.

    Un fregio, una composizione stretta e lunga che ci conduce per mano fuori dal reale, poichè i fregi – benchè reali – erano destinati ai templi dedicati alle divinità. Le figure angeliche presenti nell’opera non conducono tuttavia in altre dimensioni, si prostrano invece ad una dimensione più che mai umana.

    Quello che vediamo è infatti un momento di quotidianità materna: l’allattamento. Un tema svolto in molte epoche artistiche e qui riproposto in una composizione non dissimile, della donna e del bambino. Previati inserisce trovate pittoriche sempre nuove nel loro guardare e reinterpretare modelli passati ma, con un qualcosa di diverso, che è segno distintivo dell’epoca e dell’artista: il sentimento. 

    C’è difatti in questa donna, e in questi angeli contemplanti il mistero tutto umano della maternità, il torpore sereno di un momento intimo e silente. Sentiamo il fruscio del vento che sussurra ai fiori, gigli e anemoni (presi dalla tradizione cristiana), che smuove le piume delle ali angeliche e volteggia tra le fronde dell’albero di melarancio. Quest’ultimo probabilmente, simbolo di fertilità.

    «Sono invischiato a rendere nella figura principale del quadro tutta l’intensità dell’amore materno spogliato dalle cianfruscole che hanno servito per mille dipinti – e in un renderlo partecipe del movimento delle altre figure del quadro perché ne risulti un tutto omogeneo che impedisca qualunque altra interpretazione dell’occhio dell’osservatore – ma che difficoltà Dio mio. 

    Ti sei tu ben formato l’idea di ottenere da una tela una voce che annienti il vostro temperamento, i vostri gusti, la vostra educazione e vi faccia prorompere dall’animo il grido che l’universo, la terra, la vita è nulla…. Non vi è che la maternità?!!! Anche sulla tela non vi devono essere né colori né forme – né cielo né prati – né figure di uomini né di femmine ma un fiat che dice adorate la madre…»

    La prima esposizione alla Triennale di Milano

    La difficoltà dell’artista nel comporre l’opera, di cui ci sono testimoni molti bozzetti e il carteggio con il fratello Giuseppe, fu in realtà specchio della critica che questo dipinto suscitò. Accettata per una manciata di voti alla Triennale milanese del 1891 (la triennale del debutto del divisionismo italiano) fu oggetto di giudizi contrastanti che tendevano a rifiutare ‘l’idealità’ di questo dipinto in favore di una pittura verista e indagatrice del reale. In quella medesima sala della triennale vi era un’altra opera di simile tema: Le due madri di Giovanni Segantini. una tela questa caratterizzata sì da una tecnica simile o quantomeno fondata sui medesimi principi di quella di Previati, ma che non fuggiva dal reale.

    Un pittore idealista

    Previati dal canto suo, fu sempre scansato, in quanto nel suo essere pittore vi era anche l’essere poeta.

    Scriveva in un articolo il suo gallerista Grubicy: «Per il Previati la tavolozza è soltanto sorgente di poesia: per lui ogni colore è sentimento, è idealizzazione di immagine, è via a entrare nell’impenetrabile. A questo alto concetto egli tutto sacrifica. Chi non accetta questi propositi del pittore, chi non si sente chiamato a entrare in queste sottilità poetiche non guardi il quadro del Previati. Ci perderà la testa; e pretenderà che la testa l’abbia perduta il pittore. Egli ha veduto per sentire non ha veduto per vedere».

    E continuava l’artista: «Ma se il mio cervello è tormentato da un’idea astratta, mistica, indefinita nelle sue parti, la cui bellezza estetica risiede appunto in questa sua indeterminazione simbolica; se nel mio cervello questa idea, col cercare di incorporarsi e di manifestarsi, respinge con insistenza ogni immagine positiva che richiami alla realtà, e non trova la sua espressione se non mantenendosi in una specie di visione complessiva fluttuante, sintetica, di forme e di colori, che lascino appena intravedere il simbolismo o ideismo musicale e quasi sopratterreno del mio pensiero;

    perché non mi sarà permesso di tentare la ricerca di un suono, d’una formula più tassativamente appropriata, invece di valermi delle solite parole, dei soliti strumenti, delle solite formule, che servirebbero bensì ad esprimermi secondo le consuetudini, ma non mi soddisfano, perché parmi che qualsiasi richiamo alla realtà debba contrastare e distruggere la natura dell’immagine complessiva che io accarezzo nella mia mente?

    Dunque cercherò qualche mezzo che mantenga al mio pensiero il suo carattere vago, oscillante di visione o di sogno indeterminato che sintetizzi forme, linee e colore, in modo da escludere qualsiasi divagazione sui dettagli, costringa la mente del riguardante a lasciarsi cullare dal simbolismo decorativo complessivo della mia idea».

    Il Previati divisionista

    Previati sperimenta dunque la tecnica nuova del divisionismo, che trae le sue fondamenta dalle teorie ottiche sulla rifrazione della luce e sulla scomposizione del colore di Chevreul e Rood. Il divisionismo diveniva la tecnica ideale per rompere con gli schemi e le convenzioni del realismo percepite da Previati come un limite. E tuttavia non fu solamente un mero mezzo, poichè alla sua base vi era un concetto nuovo di pittura: ‘la pittura di idea’.

    Si noti la differenza sostanziale, che non è solo tecnica, tra la prima redazione di maternità e l’opera compiuta. Nella prima c’è ancora un’adesione ai modi della pittura scapigliata di Tarquinio Cremona, dalla quale lo stesso Previati aveva attinto in gioventù. 

    La tela e la fortuna del pittore

    La grande tela subì nel corso del tempo lo stesso destino che in qualche modo toccò all’intera opera pittorica di Previati. Pochi anni dopo l’esposizione venne inviata a Parigi, per poi tornare ed essere lasciata in depositi pubblici, poiché l’artista non potè pagare il trasporto e il noleggio di un magazzino. Venduta all’asta ad insaputa di Previati fu riacquistata per sua volontà dal Gallerista Grubicy, suo sostenitore, per poi essere per lungo tempo dimenticata. Soltanto negli ultimi decenni la figura di questo pittore è stata progressivamente recuperata quale personalità chiave della sua epoca. E Maternità permane un’opera programmatica e apicale nella sua arte, la tela che gli permise di affermare:

    «Ho passato la linea che separa la tenebra dalla luce».

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    Campo di grano con volo di corvi – le parole e le pennellate di Vincent Van Gogh

    “Che ne sai tu di un campo di grano?” cantava Battisti, “niente” risponderei io. Infatti in questo appuntamento del martedì proverò a parlarvene con le voci di altri e le parole, profonde e penetranti di Vincent Van Gogh.

    Su questa incantevole piccola tela tutta la critica artistica si è mossa inondandoci di interpretazioni quando verosimili e quando eccessivamente romanzate e fantasiose. Non sappiamo se questo fu l’ultimo dipinto dell’uomo Van Gogh, probabilmente anzi, non lo fu. L’artista non ci dice quante siano le strade rappresentate in questa sorta di visione grandangolare e non ci spiega nemmeno il perché del volo di quei corvi

    Sappiamo però che questa è una delle ultime tele, realizzata probabilmente nel luglio del 1890. Alla fine di quel mese l’artista si sparò rimanendo gravemente ferito. Morì il 29 luglio con al fianco suo fratello Theo. E sappiamo anche dell’importanza della natura e in specie dei campi di grano nella poetica di questo artista. 

    Le lettere a Theo

    Come saprete proprio a suo fratello Theo sono indirizzate molte delle lettere che l’artista scrisse. In alcune di queste Van Gogh dipinge con la sua scrittura donandoci un’immagine verbale della sua anima che ci permette in parte di guardare le sue tele e i suoi paesaggi con gli occhi dell’artista. In parte, perché alla fine è sempre il nostro sguardo e la nostra anima a interpretare e vivere il momento che si manifesta nell’opera. 

    Queste lettere a Theo ci parlano indirettamente anche di questa opera, che come tutte le tele non è espressione univoca di un solo sentimento e di un solo pensiero: è una realtà polifonica.

    Il campo di grano con gli occhi di Van Gogh

    Scopriamo allora attraverso le parole dell’uomo tre brevi punti per poter provare a guardare quest’opera con i suoi occhi.

    Campo di grano con volo di corvi Van Goghù
    Campo di grano con volo di corvi, Vincent Van Gogh, 1890, Van Gogh Museum Amsterdam
    La relazione totale con la natura

    Van Gogh e la sua relazione totale con la natura. Un qualcosa di sconosciuto ai nostri giorni. La natura c’è, ma per molti di noi è lo svago del fine settimana o della corsa pomeridiana. La natura pervade invece i dipinti di questo artista ed egli si sente parte di questo universo:

    «Quando si cammina per ore ed ore per questa campagna, davvero si sente che non esiste altro che quella distesa infinita di terra – la verde muffa del grano o dell’erica e quel cielo infinito. Cavalli e uomini sembrano formiche. Non ci si accorge di nulla, per quanto grande possa essere, si sa solo che c’è la terra e il cielo. Tuttavia, in veste di piccola particella che guarda altre piccole particelle – per trascurare l’infinito – ogni particella risulta essere un Millet. »

    La pittura en plein air e il sentire personale

    Van Gogh era solito dipingere en plein air e non lo faceva solamente solamente su scorta del portato impressionista. La scientificità e la precisione del voler cogliere gli attimi di luce, i riflessi, i colori, in Van Gogh vengono interiorizzati e plasmati dalla mano in base al proprio sentire: 

    «Penso che la povera gente e i pittori abbiano un comune senso del tempo e del variare delle stagioni, d’inverno soffro il freddo quanto il grano».

    Proprio il sentire personale, l’angoscia, la psicosi, emergono nei dipinti dell’ultimo periodo. Prima tenuti a bada dal pennello, ora generano caos e devastazione. La finezza e la sensibilità sembrano sul punto di disfarsi e più ancora la padronanza del sé. In questo senso Van Gogh, che prende quell’assolutezza dell’universale, racchiude nelle sue ultime opere tensioni e agitazioni che esprimono problemi vitali e che tutt’oggi parlano a noi. E’ un’arte impellente e poco studiata, che esprime lotta, continuo stupore e amore. L’arte qui non è la tecnica, ma l’esperienza di vita di un uomo in sfacelo

    «Ora sono di nuovo in periodo di lotta e scoraggiamento, di pazienza e di impazienza, di speranza e di desolazione.» 

    Il colore

    Infine il colore: anche questo come la pennellata sfocia nella devastazione con tonalità sempre meno delicate e più stridenti e crude. Tocchi veloci e pastosi.

    «Analogamente ritengo sia errato dare a un quadro di contadini una sorta di superficie liscia e convenzionale. Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti – va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime – va bene, è giusto che tale sia l’odore di stalla ; se un campo sa di grano maturo, patate, guano o concime – va bene, soprattutto per gente di città.»

    La terra che sovrasta il cielo

    Il blu misto a nero di questo cielo non più vorticoso e organico che annuncia tempesta. Il cielo che fu sempre per Van Gogh termine di visione, qui perde spazio lasciandosi sovrastare dalla terra con il suo grano squassato dal vento di color dell’oro e del bronzo. Se si entra nel quadro si percepisce una profondità, una prospettiva, non di linee, ma di colori. I corvi il pittore e nessun altro. Nemmeno i contadini che lavoravano i campi dei primi dipinti, solo la certezza della grandezza della vita, del valore delle persone, nonostante la malattia, nonostante tutto. 

    «Durante la crisi mi sento vile per l’angoscia e la sofferenza, più vile di quanto sarebbe sensato sentirsi, ed è forse questa viltà morale che, mentre prima non mi faceva provare nessun desiderio di guarire, ora mi fa mangiare per due, lavorare molto, e risparmiarmi nei miei contatti con gli altri malati per timore di ricadere. Insomma in questo momento io cerco di guarire come uno che, avendo voluto suicidarsi e avendo trovato l’acqua troppo fredda, cerca di riguadagnare la riva…e io so che la guarigione viene, se si è coraggiosi, dal di dentro della propria volontà e dell’amor proprio. Ma ciò non ha importanza per me, mi piace dipingere, mi piace vedere gente e cose, e mi piace tutto ciò che costituisce la nostra vita.»



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