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Raffaello Sanzio: la Fornarina e la Trasfigurazione
La Trasfigurazione e la Fornarina sono due tra le opere più celebri di Raffaello Sanzio e sono le due tele più vicine alla sua morte. Scopriamo perchè!
Roma. Era il 2 novembre di questo 2020 quando è venuto a mancare Gigi Proietti, un genio che per ironia della sorte, è morto il giorno del suo compleanno. Il 2 novembre, il giorno dei morti.
Roma. Era il 6 aprile 1520, cinquecento anni fa, quando è venuto a mancare Raffaello Sanzio, un altro genio, che l’ironia della sorte ha voluto morisse il giorno del suo compleanno. In quell’anno, guarda caso, venerdì santo.
Le ultime opere di Raffaello
In questo ultimo video della miniserie dedicata al divin pittore scopriamo due delle ultime opere di Raffaello: la Fornarina e la Trasfigurazione. Ci rifiuteremo inoltre di parlare di ‘fine’ di Raffaello, perché è proprio alla luce del percorso che abbiamo fatto che è possibile chiedersi: perché parlare di inizi (al plurale) e di fine (al singolare)?
La morte di Raffaello Sanzio
La morte di Raffaello fu la tragedia del 1520. Il pittore lasciò le sue spoglie divine per mostrarsi anch’egli soggetto all’azione della morte. Da quel giorno ebbe origine un processo di ‘canonizzazione’ artistica. Insomma, non condizioni migliori potevano attendersi coloro che trasformarono la storia di Raffaello in mito. Poiché il 6 aprile era anche la data, ricordata dai colti, dell’incontro di Petrarca con Laura, ma fu anche il giorno in cui ella morì, sempre di venerdì santo.
Tutto in qualche modo sarebbe tornato nelle narrazioni, mentre nella spettatrice silenziosa che Roma era la notizia si propagò in tempi lampo, trasmessa per lettere e per sonetti. Di giorno in giorno rimbombava per tutta Italia l’annuncio della prematura e già romanzata scomparsa. Raffaello morto lo stesso giorno di Cristo, e scrivevano:
«Perchè sorprendersi se tu moristi nel giorno in cui Cristo morì?
Questi era il Dio della Natura, tu eri il Dio dell’arte»
La Trasfigurazione di Cristo di Raffaello
Ma veniamo alle opere. Giorgio Vasari racconta che il corpo di Raffaello fu portato nella sala ove il pittore stava terminando la Trasfigurazione di Cristo «la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a chiunque quivi guardava». Questa fu l’ultima opera di Raffaello, probabilmente terminata dai suoi allievi, come i numerosissimi altri progetti ai quali egli stava lavorando. Fu commissionata alcuni anni prima dal cardinale Giulio de’ Medici il quale aveva richiesto un’opera per la medesima chiesa narbonense a Sebastiano del Piombo: a quest’ultimo spettava il soggetto della Resurrezione di Lazzaro, mentre a Raffaello la Trasfigurazione di Cristo.
Come però riempire e conferire dinamismo ad un episodio così lirico? Come poter inserire nell’opera passioni e sentimenti umani senza togliere significato alla rivelazione divina?. Perché nella sfida, forse un po’ romanzata con il duo Michelangelo-Sebastiano del Piombo, Raffaello doveva catturare e stupire. Doveva, e questo ci piace, andare oltre.
Descrizione dell’opera
Il pittore fece allora ciò che meglio gli riusciva, disgiungere per congiungere, dividere per unire, realizzando una composizione bipartita e al medesimo tempo unica. Cristo domina il dipinto, risultando centro della parte superiore. Sole irradiante nel suo bianco splendente e incorniciato in questa nube che è luce e ombra. Un Cristo che si affida al cielo, con le mani levate. Ai lati l’apparizione di Mosè ed Elia nelle loro vesti scosse dal vento, nelle pose d’angeli senz’ali, con i volti rivolti al figlio di Dio. Due figure a sinistra, due santi, riescono a tenere gli occhi aperti e partecipare a quella visione, Felicissimo e Agapito oppure Giusto e Pastore. Spostandoci in basso un diaframma divide la scena, una cima di monte simile a grande cuscino erboso. Su questa sono distesi e accovacciati i tre apostoli, Giacomo, Pietro e Giovanni. Il primo chiuso nel terrore, gli altri travolti dalla luce.
Scendendo poi dal monte Tabor il vangelo di Matteo narra dell’incontro di Gesù con una piccola folla di persone. Tra costoro un padre disperato per le condizioni del figlio, un fanciullo ossesso, epilettico. Ecco allora che le braccia scompostamente allargate del giovane sorretto dal padre, dialogano opponendosi con quelle del Cristo, dalle quali riceverà la salvezza. È questo giovane il centro compositivo della parte sottostante: a lui sono rivolti gli sguardi, e le dita. È la sua condizione a destare preoccupazione, tenerezza, impotenza, disperazione. Un’enciclopedia di moti dell’anima invade questa parte del dipinto, più terrena, più prossima allo spettatore.
La luce nella Trasfigurazione
La salvezza discende dall’alto e si manifesta con calma serafica in un dirompete bagliore. Sopra luci soffuse che si originano dalla nube. Sotto una luce più spigolosa e marcata che dà origine a un chiaroscuro colmo di pathos. Sullo sfondo, oltre il monte Tabor, un tramonto.
La Fornarina di Raffaello Sanzio
Un’altra opera, oltre alla Trasfigurazione che fu ritrovata nello studio di Raffaello dopo la sua morte, è il celebre ritratto di donna a mezzobusto passato alla nostra storia con il nome terreno di Fornarina. Si crede che Raffaello in questo dipinto ritrasse la donna amata, tale Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere. Eppure il termine fornarina inizia a comparire nei documenti solamente nel XVIII secolo. Osserviamo una donna reale sì, ma pure incarnazione di bellezza, un ritratto, ma perché non un’allegoria di amore? Potremmo scorgervi una Venere forse, seduta tra il mirto, pianta a lei sacra. In questa donna divina cosparsa di luce soffusa e colori perlacei, adorna di gioielli e veli di fine trasparenza, Raffaello lasciò il suo nome: Raphael Urbinas.
La Trasfigurazione e la Fornarina di Raffaello: gli inizi e le ‘fini’
Gli inizi di Raffaello portarono a tutto ciò ed è inconcepibile parlare di fine. Per Raffaello, ma per ciascun uomo parlerei di fini. Tanti i progetti avviati e pensati ai quali i suoi allievi, tra i più celebri Giulio Romano e Giovan Francesco Pierini, diedero poi vita. Tante le idee, numerose le innovazioni, innumerevoli le figure che da allora in avanti cambiarono e plasmano oggi la vita delle persone. Le ‘fini’ dunque di Raffaello.
Infine Roma, Raffaello e Gigi Proietti
Avevamo iniziato con le coincidenze. Concludiamo con un’analogia che coincidenza non è: l’amore di Roma per Gigi Proietti e le parole di coloro che raccontarono la morte di Raffaello:
«La cui morte è doluto a tutti di Roma»
«Con universal dolore di tutti»
Quella Roma tanto amata da Raffaello da scrivere al papa queste parole:
«Non debe, adonque Padre Santissimo, esser tra li ultimi pensieri di Vostra Santitate, lo haver cura che quello poco che resta di questa antica madre de la gloria e grandezza italiana…»
Quella Roma che dona e che toglie. Un po’ come questo 2020. Però scusate, Gigi glie lo avrebbe detto, col sorriso ma, a questo 2020 glie lo avrebbe detto: …nun me rompe er ca’!
Ciao Raffaello! Ciao Gigi! Arrivederci!