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    Maria Lai, Opere e parole

    « – Buongiorno – disse la volpe. – Buongiorno – rispose educatamente il piccolo principe che si girò, senza però scorgere nessuno. – Sono qui – disse la voce – sotto il melo – . – Chi sei? – chiese il piccolo principe. – Sono una volpe – disse la volpe. – Vieni a giocare con me – le propose il piccolo principe.»

    Non è un caso se in questo XXI capitolo del breve capolavoro che Il piccolo principe è, troviamo alcune delle parole care all’arte di Maria Lai: una donna nata nel 1919 sull’ ’asteroide’ sardo di Ulassai. Lei: una ricamatrice di sogni, una rammendatrice di racconti, una filatrice di relazioni.

    L’arte come gioco

    «Vieni a giocare con me» dice il piccolo principe alla volpe. Il gioco. Centrale nella crescita e nello sviluppo del bambino e spesso dimenticato dagli adulti. Per Maria Lai, come per Saint Exupéry, L’immaginazione e quindi il ludus non possono rimanere prerogativa unica dell’infanzia, bensì si devono far strada attraverso l’arte o la letteratura e invadere gli osservatori e i lettori. Così arte e letteratura divengono un luogo, un gioco, in cui familiarizzare e crescere. I luoghi dell’arte a portata di mano (2002) costituiscono allora l’approdo di questa concezione. L’opera è composta da carte destinate a passare di mano in mano con su scritte frasi o parole che interrogano, spiegano, oppongono, affermano. Sono i luoghi e le persone che fruiscono dell’opera a dare all’opera vita e…viceversa. 

    I luoghi dell’arte a portata di mano

    ‘AddomesticARTE’ – Legarsi alla Montagna

    Ma continua poi la volpe…

    « –Sono così triste…Non posso giocare con te – rispose la volpe – non sono addomesticata. – Ah! Scusami – fece il piccolo principe. Ma dopo averci riflettuto su, aggiunse: – Che significa “addomesticare”-. – Significa una cosa che è stata purtroppo dimenticata, – rispose la volpe – significa Creare dei legami…-»

    Addomesticare, non è termine che usava Lai, ma possiamo trovare nelle sue opere quello che Saint Exupery intendeva per ‘addomesticare’: l’istanza, la volontà e il desiderio di ‘creare legami’. Tutto questo lo scoviamo nell’arte di Maria Lai e lo percepiamo tanto forte come probabilmente  mai nell’arte del Novecento. Siamo, ad esempio, nel 1981 quando viene realizzato ciò che non può dirsi opera e nemmeno performance, (poichè non ci sono attori né un copione), insomma un qualcosa che venne poi definito come il primo esempio italiano di ‘arte relazionale’: Legarsi alla montagna

    Lai propose: «leghiamo con un nastro una casa all’altra del proprio vicino, come quando si ha paura e si stringe la mano. Questa sarà l’opera». Più di 25 km di nastro legarono insieme l’8 settembre del 1981 l’intera Ulassai. Il nastro arrivò fin sulla montagna, riportando l’opera alle origini leggendarie da cui quest’idea nacque. Vi era infatti nella cittadina la leggenda di una bimba, la quale per portare cibo ad alcuni pastori, si rifugiò in una grotta e si salvò da una frana poichè vide e seguì un nastro azzurro che svolazzava di fuori. Legarsi alla montagna (come ogni opera d’arte) aveva però un codice ben preciso in quanto non tutte le relazioni sono uguali. È per questo che, qualora vi fosse discordia tra le famiglie, il nastro passava diritto, in caso di serenità o amicizia un nodo o un fiocco, in caso di amore occorreva intrecciarvi un pane.

    L’arte e il tempo: silenzio e attenzione – Le fiabe cucite

    «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Si riforniscono dai mercanti di cose pronte all’uso. Siccome non ci sono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico, addomestica me!»

    Il tempo per conoscere. Il creare relazioni come il creare arte necessita di tempo. Ma come trovare e destinare tempo a qualcosa che di tempo ne richiede a bizzeffe, quando di là dagli schermi tutto è venduto come pronto? I nostri minuti, le nostre ore sono oggi più che mai materia di scambio, prodotto. Servono in tutto ciò due atteggiamenti amati da Lai: silenzio e attenzione. Imprescindibili per la composizione e la fruizione delle sue opere e in particolare per il processo che dà vita Fiabe cucite. Un’attenzione sinestetica, poichè quella fiaba è tessuta su tela, pagina dopo pagina. Un silenzio assordante, quello dell’arte del cucito, che è per Lai un movimento attento e tacito d’ago e filo per collegare punti, tracciando storie e facendo racconti.

    Tenendo per mano il Sole, Tenendo per mano l’ombra, Curiosape sono le fiabe cucite più celebri. Libri creati dall’artista con tessuti riusati. Libri che nascono quasi dal nulla, dalla pazienza del filare, del tessere e del cucire. Il filo è segno di un cammino che unisce luoghi e intenzioni: tessere diviene allora un processo per tenere per mano sole e ombra, un momento di relazione tra opposti, tra diversi. Scrive la poetessa Antonella Anedda: «Il suo è un concettualismo lirico dove le ragioni della ragione non dimenticano quelle del cuore». Un libro cucito non si legge, sta e richiede attenzione e silenzio. Non per forza comprensione, attenzione. 

    “Non importa se non capisci, segui il ritmo” disse Salvatore Cambosu a Maria Lai donandole un libro di poesia. Non è così la vita? non siamo chiamati a seguirne il ritmo? a percepirne l’ordito e inabissarci con i fili che ne tracciano il segno?

    Per comprendere a fondo quest’arte è allora necessario – ve lo dico in maniera sgrammaticata e bambinesca – attenzionare e silenziare o silenziarsi. Attenzionare perché non basta fare attenzione, bisognerebbe vivere in attenzione. Silenziare e silenziarci, non per ignorare ciò che si ha attorno, bensì per meglio comprendere le voci di bambini che sono in noi.

    L’arte ci prende per mano

    Ultimo step.

    «Per esempio, se tu vieni sempre alle quattro del pomeriggio, alle tre io già comincerò ad essere felice. Più si avvicinerà il momento, più mi sentirò felice. […] Ma se tu vieni quando ti pare, non saprò mai quando preparare il mio cuore… c’è bisogno di riti. – Che cos’è un rito? – disse il piccolo principe. – È una cosa purtroppo dimenticata – rispose la volpe. È ciò che fa di un giorno un giorno differente dagli altri, una certa ora, un’ora differente dalle altre ore».

    Quella di Maria Lai è un’arte quotidiana e frugale, in qualche modo rituale. Ed è attraverso questa ritualità che dona nuova vita alle cose.

    «Lai è una Parca che non taglia il filo, è una filatrice ma non una Accabbadora, il suo lavoro non smette di germogliare».

    Il rito mette radici nell’attenzione e nel silenzio, il rito si nutre di relazione. Nel 2003 Maria Lai realizza L’arte ci prende per mano. Un’opera costituita da una lavagna con su scritto in bella grafia la frase da cui l’opera prende il titolo, esposta nella piazza delle scuole del paese. 

    L’arte ci prende per mano, 2003, Ulassai

    Ecco l’arte prende per mano ciascuno, come una maestra fa con i bambini impauriti il primo giorno di scuola, si avvicina e ci porge la mano. Eppure, se al bambino come dice Lai «bastano i giochi, le fiabe,  il sillabario, e il ritmo; a [noi] aduli alle amarezze del mondo» e a questi tempi incerti, cosa occorre?

    Lai, la sua arte, propone nel suo essere una via che abbiamo visto passa per la creazione di legami (addomesticare), per il silenziarsi e l’attenzionare affinchè si riscoprano i ritmi e si possa tornare a sillabare, per la riscoperta dei riti per non rimanere (come direbbe Deandré) «più semplicemente dove un attimo vale un altro».

    E infine lungo questa via percepire un senso di responsabilità nella relazione nei confronti dell’altro, poichè come diceva Lai «L’arte è lo spazio di chi non occupa spazio nel mondo».

    «Si diventa per sempre responsabili di chi si addomestica. Tu sei responsabile della la tua rosa… – Io sono responsabile della mia rosa… ripeteva il piccolo principe per tenerlo a mente»