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    Il Canto III e la porta dell’Inferno di Rodin

    Con il Canto III dell’inferno il poeta Dante inizia il suo viaggio nel mondo ultraterreno. Lo fa, scegliendo come punto di partenza un simbolo caro alla cultura antica: la porta.

    Tradizionalmente infatti, la porta delimitava un confine, una linea chiamata limes che separava la vita dalla morte, il regno dei vivi da quello dei morti.

    È la porta dell’Inferno, al di sopra della quale sono scritte queste parole:

    ’Per me si va ne la città dolente,

    per me si va ne l’etterno dolore,

    per me si va tra la perduta gente.

    Giustizia mosse il mio alto fattore;

    fecemi la divina podestate,

    la somma sapïenza e ’l primo amore.

    Dinanzi a me non fuor cose create

    se non etterne, e io etterno duro.

    Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

    Quando le parole prendono forma…

    A dare forma alle parole e all’immaginario di Dante è in questo caso lo scultore francese Auguste Rodin.

    Nel 1880 il Mistero della pubblica istruzione di Parigi scelse un giovane artista, ancora poco noto al grande pubblico, per la realizzazione di una porta bronzea per l’ingresso del Museo delle Arti decorative, museo che doveva sorgere dove oggi si trova il museo d’Orsay.

    La scelta del tema dantesco per la porta dell’inferno di Rodin

    Appena ricevuta la commissione Rodin iniziò subito a lavorare sulla porta, la scelta del tema dantesco non fu certo un caso. Infatti in quegli anni Dante era considerato uno dei giganti della letteratura e preso come modello da moltissimi artisti francesi per la realizzazione di sculture e dipinti. 

    Inoltre la passione per il Bel Paese e la sua cultura, da parte di Rodin, resero la scelta del tema più che naturale.

    I primi studi per la porta dell’inferno di Rodin

    Per iniziare a lavorare i suoi modelli Rodin utilizzò gli schizzi e gli studi realizzati durante il suo Tour in Italia, noti anche come Disegni Neri.

    L’artista al quale Rodin s’ispirò maggiormente, come vedremo in seguito, fu il grande maestro Michelangelo Buonarroti

    In un primo momento lo scultore pensò alla narrazione dell’inferno attraverso una selezione di episodi da incorniciare all’interno di formelle, citando la cultura rinascimentale italiana con la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze di Lorenzo Ghiberti. 

    Tuttavia, dopo un’attenta analisi, tale soluzione fu scartata in favore di una narrazione più fluida e continua che interessasse tutta la superficie della porta dai due battenti all’architrave. 

    L’improvvisa interruzione dei lavori

    Quando nel 1889 si capì che il museo non avrebbe mai visto la luce Rodin scelse di bloccare i lavori e la porta rimase in sospeso per diversi anni.

    Solo nel 1899 il modello in gesso fu montato per nell’esposizione personale di Rodin a Place de l’Alma nel 1900 e successivamente al Musée Rodin di Meudon.

    La porta dell’inferno in diverse parti del mondo

    Ad oggi conosciamo molte versioni in bronzo di quest’opera, sono tutti multipli originali, fusi anni dopo la scomparsa dell’artista e che si trovano presso il Museo Rodin di Parigi, a Zurigo, in California, a Philadelphia e a Tokyo.

    Nonostante si tratti di un’opera incompleta, tale scultura rappresenta ancora oggi l’emblema dell’arte di Rodin. 

    Si tratta di una porta colossale. Misura infatti sei metri in altezza per quattro metri in larghezza. La superficie contiene più di duecento figure scolpite e ispirate interamente alla commedia dantesca. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno 1880-1917, Bronzo, 635×400×100 cm Musée Rodin, Parigi

    Ma cosa sceglie di raccontare Rodin? 

    L’artista sceglie di rappresentare l’intera cantica dell’Inferno, raccontando le vicende e le passioni dei personaggi simbolo del primo regno. Rodin decide di far muovere tutte le figure per mano di quel vento incessante che Dante continuamente cita nella narrazione, come metafora dell’abbandono. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, calco in gesso

    L’amore di Paolo e Francesca

    Uno dei canti che più affascina Rodin è il V canto dell’Inferno con i Lussuriosi e il celebre amore di Paolo e Francesca. Per descrivere al meglio la figura dei due amanti, Rodin scelse di realizzare la scultura nota come Il Bacio. Questa è tra le opere più famose dell’artista e fu presentata in un’esposizione al Louvre che la destinò alla celebrità.

    Nonostante il notevole risultato Rodin cambiò idea, ritenendo questa scena troppo intima e romantica per descrivere la dannazione dei due amanti. 

    Scelse di sostituirla con un’altra famosissima opera intitolata Fugit amor. Due figure pensate separate, l’una di spalle all’altra e incatenate tra loro, dall’andamento sinuoso e fluido.

    Lo stesso scultore afferma:

    « Quando i personaggi sono perfettamente modellati, si avvicinano l’uno all’altro, raggruppandosi da soli. Io ho calcato due personaggi separatamente, li ho messi insieme e ciò è bastato»

    Auguste Rodin

    Rodin alla fine, scelte di collocare il gruppo scultoreo di Paolo e Francesca per ben due volte sulla porta: sia sul battente di sinistra che su quello di destra, in posizioni diverse. 

    Il fascino della dannazione

    Quello che Rodin vuole raccontare mediante queste figure è da una parte la drammaticità narrata da Dante, ma parallelamente la bellezza che si cela dietro la poesia della Commedia e l’irresistibile fascino che spinge l’uomo alla dannazione. E’ qui da comprendere anche quanto Rodin fosse vicino alla poesia francese dell’epoca il cui capolavoro, I Fiori del Male di Baudelaire, Esaltava la ricerca della bellezza in ogni aspetto della realtà, concependo e facendosi forza anche dell’estetica del male e del brutto.  

    “Inno alla bellezza”

    Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,

    Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,

    dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,

    ed in questo puoi essere paragonata al vino.

    Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;

    profumi l’aria come una sera tempestosa;

    i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora

    che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.

    Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?

    Il Destino irretito segue la tua gonna

    come un cane; semini a caso gioia e disastri,

    e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

    Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,

    dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,

    l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli

    sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

    Verso di te, candela, la falena abbagliata

    crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!

    L’innamorato ansante piegato sull’amata

    pare un moribondo che accarezza la tomba.

    Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,

    Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!

    Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta

    di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

    Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,

    tu ci rendi fata dagli occhi di velluto,

    ritmo, profumo, luce, mia unica regina!

    L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?  

    Così, attraverso le parole di Baudelaire, la scultura di Rodin prende forma con linee sensuali e sinuose che conferiscono ai corpi contorti e dannati dell’inferno un senso di attrazione e di fascinazione.

    L’intento di Rodin è quello di indagare le passioni umane, lasciando da parte la condanna più caratteristica del sostrato culturale medievale della Commedia. 

    Il conte Ugolino

    Appena sopra le figura di Paolo e Francesca vediamo un’altra importantissima figura che Dante relega al XXXIII Canto dell’Inferno: il Conte Ugolino.

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio conte Ugolino

    Il Conte Ugolino della Gherardesca fu un nobile pisano attivo nel conflitto guelfi e ghibellini e il quale fu accusato di tradimento e rinchiuso nella torre della Muda insieme ai suoi figli e ai nipoti.

    Al Conte in vita fu inflitta la pena più atroce di tutte, vedere i proprio figli morire ed essere inermi difronte a tale evento. 

    Una nuova iconografia

    Tradizionalmente il Conte veniva rappresentato seduto con accanto i proprio figli. Rodin invece stravolse l’iconografia accademica.

    Lasciatosi ispirare dalle parole di Dante, Rodin scolpì Ugulino accasciato a terra, che tasta disperatamente i corpi dei figli esanime, piegato dal dolore e dalla fame. 

    Nel volto scolpito da Rodin vi è tutta la disperazione e l’agonia narrata nelle terzine del Sommo poeta.

    Le tre ombre

    A coronamento della porta trovano posto i tre spiriti fiorentini incontrati da Dante nel Canto XXV, nell’ottavo cerchio, quello dedicato ai ladri.  

    Il numero tre è un numero che si rintraccia nella Commedia dalla scelta di tre cantiche, ai trentatré canti fino alle terzine .

    A tal proposito Rodin realizza le Tre ombre, un’unica figura che ruota in tre angolazioni diverse, il perno di rotazione è il braccio proteso in basso ad indicare la discesa nel baratro. Un monito per ricordarci cosa ci aspetta se incuranti della nostra condotta nella vita terrena.

    Una composizione plastica che svela da ogni angolazione scorci espressivi diversi. 

    Rodin qui ha in mente le anatomie, i corpi e i volti creati da Michelangelo nella cappella Sistina. 

    Auguste Rodin, Le tre ombre (1886 circa), Musée Rodin, Parigi

    Il Pensatore

    La statua del Pensatore, è collocato sull’architrave della porta. 

    Una figura seduta china in avanti con il mento appoggiato sulla mano destra. 

    Il modello artistico di riferimento per tale opera fu anche in questo caso Michelangelo con il Lorenzo de’Medici della Sagrestia Nuova, noto all’epoca come il Pensieroso. Mentre per la plasticità anatomica e la contrazione muscolare un altro riferimento fu la statuaria classica con il torso del Belvedere

    Rodin fu un convinto assertore della necessità di esprimere il movimento attraverso la tensione plastica delle membra, non attraverso la mimesi fotografica dell’atto.

    L’emblema del genio dantesco

    Auguste Rodin, La porta dell’inferno, dettaglio Pensatore

    Durante la lavorazione di questa scultura Rodin identifica la figura del Pensatore con quella di Dante stesso. Il Sommo poeta seduto nella parte più alta, che osserva l’inferno e riflette su ciò che vede; parallelamente è anche il Dante creatore della cantica. 

    E come Cristo nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina è posto al centro a governare la complessità e la confusione di un groviglio di corpi. 

    Il pesatore diventa l’emblema dell’artista, del genio, del poeta di colui che medita sul mondo, raccontandolo attraverso l’arte. 

    Il genio di Dante supera i confini del tempo e dello spazio, e dalla sua arte sono nate e nascono ancora oggi altre opere, in un circolo virtuoso in cui l’arte genera arte, il bello genera bello.

    Cosa pensa Rodin di Dante…

    «Dante non è solamente un visionario e uno scrittore; è anche uno scultore. La sua espressione è lapidaria, nel senso buono del termine. Quando descrive un personaggio, lo rappresenta solidamente tramite gesti e pose. […] Ho vissuto un intero anno con Dante, vivendo di nulla se non di lui e con lui, disegnando gli otto cerchi dell’inferno…»

    Auguste Rodin, Il Pensatore, Musée Rodin, Parigi

  • Impressioni, levar del sole di Claude Monet
    arte,  impressionismo,  podcards

    Impressione, levar del sole di Claude Monet-PODCARD

    Il 1874 fu l’anno della prima mostra Impressionista.

    L’esposizione si tenne presso lo studio del fotografo Nadar.

    Tra i quadri esposti vi era Impression, solei levant (Impressione, levar del sole) di Claude Monet. 

    Il dipinto raggiunse un’incredibile fama grazie alla recensione del critico Lenoy che utilizzò il titolo dell’opera per coniare l’appellativo del movimento artistico: impressionismo

    Claude Monet realizza il dipinto non tenendo conto dei criteri convenzionali con i quali si era soliti dipingere una veduta del genere.

    Tutto il quadro è avvolto in una foschia azzurra.

    In lontananza si percepiscono appena le forme delle imbarcazioni.

    Il sole riflesso sull’acqua crea inaspettati giochi di colore, un’atmosfera calda e poetica.

    Con Impressione, levar del sole Claude Monet inviata lo spettatore a guardare la natura attraverso le emozioni suscitate delle armonie dei colori, disattendendo consapevolmente le regole tradizionali di creare una composizione pittorica. 

  • La bagnate di Valpinçon di Ingres
    arte,  podcards

    La bagnante di Valpinçon di Ingres-PODCARD

    Ingres invio la tela da Roma a Parigi per partecipare all’esposizione del Salon del 1808. 

    Il dipinto fu acquistato dal collezionista Leonard Valpinçon, da cui prese il nome: La bagnante di Valpincon.  Divenne di proprietà del Louvre nel 1879.

    Ingres ritrae una donna dalle morbide e sinuose forme, seduta di schiena con un turbante che avvolge i capelli bruni e la testa dolcemente rivolta verso destra, lasciandoci immaginare il volto della donna consegnandoci le chiavi di un profilo appena accennato.

    La nudità, che appare mitigata dal porgersi di spalle, in realtà è qui enfatizzata.

    Il nostro sguardo accarezza la figura, scivolando dolcemente dalla spalla illuminata, lungo il braccio appena piegato, per poi scendere alle gambe timidamente incrociate. 

    Un’ideale di bellezza classica dipinto in maniera magistrale nella sua estrema semplicità.

    Ma una domanda sorge spontanea di che bodyshape parliamo…pera, mela o clessidra?

  • arte,  Donne d'arte,  preraffaelliti

    Elizabeth Siddal: la donna preraffaellita dai capelli color Tiziano

    Elizabeth Siddal, la donna preraffaellita, è nota al grande pubblico come la bella Ophelia di John Everett Millais (1852). In realtà, la giovane donna, non fu solo la modella della Confraternita Preraffaellita, ma anche un’abile pittrice e poetessa.

    Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita

    Posare per i Preraffaelliti

    Lizzie si avvicinò al modo dell’arte grazie al pittore Walter Howell Deverell, il quale la notò per i suoi lineamenti non convenzionali, la carnagione pallida, gli occhi grandi e la chioma rosso Tiziano; tutti elementi tipici di quella bellezza decadente di epoca vittoriana che tanto era apprezzata dagli artisti. 

    La ragazza attirò fin da subito l’attenzione dei giovani preraffaelliti: William Holman Hunt, John Everett Millais e di Dante Gabriel Rossetti.

    Proprio di quest’ultimo fu la modella prediletta e amante, ritratta dall’artista come Beata Beatrix, identificando in lei l’angelica donna fonte d’ispirazione e in lui, il pittore, il sommo poeta del Dolce Stil Novo.

    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix, ca 1864-70.

    L’amore e il tormento per Rossetti

    L’amore tra i due fu tutt’altro che romantico e puro. Rossetti desiderava  “migliorarla”, renderla più meritevole di essere la sua compagna, specialmente agli occhi della sua famiglia; spingendola così a diventare un’artista e migliorare il suo status sociale. Fu proprio lui ad insegnarle i rudimenti della pittura e ad avviarla alle prime esposizioni. 

    Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita, realizzò opere ispirate al ciclo Arturiano e alle tipiche ambientazioni medievali come la Dama di Shallot (1853), il Lamento della donna (1857) e la Ricerca del Santo Graal (1855-1857). 

    Il successo artistico

    Lo stesso John Ruskin, autorevole critico d’arte e sostenitore della Confraternita Preraffaellita, riconobbe in Lizzie una valida artista, definendola “geniale”. Egli decise di investire nel talento della giovane offrendole un sostegno economico e diventando il suo mercante d’arte. 

    A conferma delle sue capacità artistiche fu chiamata a partecipare, come unica donna, all’esposizione del 1857 al Salone Preraffaellita con alcuni disegni e un autoritratto ad olio. 

    Elisabeth siddal autoritratto
    Autoritratto, 1857

    Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita

    Purtroppo il successo in ambito artistico non riuscì a salvare Lizzie dalla depressione che la portò ad un destino triste e oscuro. A causa della sua salute cagionevole iniziò a fare uso di laudano, fino a diventarne dipendente. Inoltre la condotta infedele dell’amato Rossetti e la perdita della loro primogenita (1961) aumentò in lei il senso di inadeguatezza e sofferenza, un dolore talmente insostenibile che la spinse, all’età di soli 32 anni (1862), a togliersi la vita avvelenandosi con un’intera dose di  laudano.  Così, tragicamente, finì la vita di Elisabeth Siddal, la donna preraffaellita.

    Elisabeth siddal, Dante Gabriel Rossetti, regina cordium
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dante Gabriel Rossetti, Regina Cordium 1860

    Tutto il suo tormento Elizabeth lo trascrisse in quattordici poesie che furono pubblicate solamente nel 1906 per volontà di William Michael Rossetti, fratello di Dante.

    In questi componimenti Lizzie esprime tutta la sua infelicità descrivendo quel doloroso e sottile confine che c’è tra l’amore e la morte. 

    Dead Love

    Oh never weep for love that’s dead
    Since love is seldom true
    But changes his fashion from blue to red,
    From brightest red to blue,
    And love was born to an early death
    And is so seldom true.

    Then harbour no smile on your bonny face
    To win the deepest sigh.
    The fairest words on truest lips
    Pass on and surely die,
    And you will stand alone, my dear,
    When wintry winds draw nigh.
    Sweet, never weep for what cannot be,
    For this God has not given.
    If the merest dream of love were true
    Then, sweet, we should be in heaven,
    And this is only earth, my dear,
    Where true love is not given.

    Amore finito

    Non piangere mai per un amore finito
    poiché l’amore raramente è vero
    ma cambia il suo aspetto dal blu al rosso,
    dal rosso più brillante al blu,
    e l’amore destinato ad una morte precoce
    ed è così raramente vero.

    Non mostrare il sorriso sul tuo grazioso viso
    per vincere l’estremo sospiro.
    Le più belle parole sulle più sincere labbra
    scorrono e presto muoiono,
    e tu resterai solo, mio caro,
    quando i venti invernali si avvicineranno.

    Tesoro, non piangere per ciò che non può essere,
    per quello che Dio non ti ha dato.
    Se il più puro sogno d’amore fosse vero
    allora, amore, dovremmo essere in paradiso,
    invece è solo la terra, mio caro,
    dove il vero amore non ci è concesso.

    Elizabeth Siddal
    Ophelia, John Everett Millais, Elisabeth siddal
Elizabeth Siddal la donna Preraffaellita
    Dettaglio Ophelia di John Everett Millais 1852

  • arte,  Donne d'arte,  impressionismo

    Berthe Morisot la donna dell’impressionismo

    «La profondità, bisogna nasconderla. Dove? Sulla superficie» 


    Hugo von Hofmannsthal

     

    Édouard Manet, Berthe Morisot con un mazzo di violette 1972

    Berthe Morisot nacque a Bourges il 14 gennaio del 1841 in una famiglia alto borghese. Dopo vari spostamenti, a causa del lavoro del padre come prefetto, nel 1852 Berthe si trasferì a Parigi. Con il sostegno dei genitori, sia lei che la sorella Edma, iniziarono ad interessarsi alla pittura. 

    Le prime opere

    Particolarmente portata per il disegno, Berthe entrò nell’atelier di Joseph Benoit Guichard, allievo di Ingres e Delacroix e amico di Corot. Fu proprio quest’ultimo ad indirizzare la giovane artista alla pittura en plein air

    Le opere di questo periodo sono costellate di persone a lei care e di paesaggi dal sapore poetico, come scrisse Jean Prouvaire in La Rappel

    «Mlle Berthe Morisot ci conduce nei prati bagnati dalla rugiada marina. Nei suoi acquerelli come nei suoi dipinti ad olio ama i grandi prati dove si siede, libro alla mano, qualche donna accanto ad un bambino. Berthe confronta l’artificio affascinante della Parigina con il fascino della natura.»

    Madre e sorella dell’artista, 1869/1870
    Vista di Parigi dal Trocadero, 1871- 1872
    Sotto il lillà a Maurecourt, 1874
    La caccia alle farfalle, 1874

    L’incontro con Manet

    Dal 1864 al 1873 Berthe iniziò ad esporre con regolarità le sue opere al Salon. Fu proprio tra le sale del Louvre che incontrò quello che divenne il suo mentore e amico, Edouard Manet

    Grazie alla vicinanza di quest’ultimo la giovane Morisot entrò in contatto con alcuni dei più celebri artisti dell’epoca, tra i quali Degas e Puvis de Chavannes.  

    La prima esposizione impressionista

    Di lì a poco nella primavera del 1874 Berthe fu impegnata ad organizzare insieme a Monet, Degas, Pissarro, Sisley, Renoir, Guillarme e Cézanne la prima esposizione degli Indépendants presso lo studio del fotografo Nadar in boulevard des Capucines 35

    Catalogo della prima mostra degli Indépendants

    Proprio in questa occasione la pittrice presentò un’opera a lei molto cara:  La culla. Questo dipinto appare come un omaggio all’amata sorella Edma, ritratta mentre guarda teneramente la figlia nata da pochi giorni. 

    La culla, 1872

    Il matrimonio

    In quello stesso anno Berthe si legò sempre di più al fratello di Édouard, Eugène Manet. I due decisero di sposarsi nella primavera del 1875.

    Berthe, nonostante la vita matrimoniale, non distolse mai la sua attenzione dal suo grande amore: la pittura. Fu costantemente impegnata dalla sua ricerca e dal «desiderio di catturare qualcosa di fugace». 

    Nel 1879 mancò all’esposizione impressionista a causa della recente nascita della figlia Julie Manet. 

    Eugène Manet all’Isola di Wight, 1875

    Il tema del ballo

    L’attenzione della Morisot in questi anni si rivolse verso soggetti pittorici apparentemente più frivoli e leggeri, ma che in realtà celano un’indagine psicologia e sentimentale del mondo borghese.

    All’esposizione impressionista del 1880 Berthe presentò Jeune femme en toilette de bal. Un dipinto dal sapore romantico e onirico: una ragazza vestita in abiti eleganti, con il capo leggermente rivolto verso sinistra, osserva attenta qualcosa che è precluso allo sguardo dell’osservatore.

    Giovane donna in tenuta da ballo, 1879

    La prima personale e la morte

    La presenza dell’artista alle mostre impressioniste fu constante fino al 1886, anno della sua ultima partecipazione. Seguì poi nel 1892, successivamente alla morte del marito, la sua prima esposizione personale presso la Galerie Boussod Valadon et Cie

    Il 2 marzo 1895 Berthe morì a causa di un problema polmonare.

    Dopo soli tre giorni gli amici e colleghi : Degas, Monet, Renoir e Mallarmé organizzarono la prima mostra postuma dedicata alla pittrice celebrando una donna, un’amica e un’artista autorevole, che diede il suo importante contributo per l’affermazione di uno dei movimenti artistici più conosciuti e apprezzati della storia dell’arte: l’Impressionismo.

    Autoritratto, 1885

  • arte,  attualità,  musei,  Novecento

    «Non vi è che la Maternità» l’opera di Gaetano Previati

    Oggi vi parlerò di maternità! Non in senso generale, tranquilli, ne saprei poco nulla! Vi parlerò dell’opera Maternità, di Gaetano Previati.

    Un fregio, una composizione stretta e lunga che ci conduce per mano fuori dal reale, poichè i fregi – benchè reali – erano destinati ai templi dedicati alle divinità. Le figure angeliche presenti nell’opera non conducono tuttavia in altre dimensioni, si prostrano invece ad una dimensione più che mai umana.

    Quello che vediamo è infatti un momento di quotidianità materna: l’allattamento. Un tema svolto in molte epoche artistiche e qui riproposto in una composizione non dissimile, della donna e del bambino. Previati inserisce trovate pittoriche sempre nuove nel loro guardare e reinterpretare modelli passati ma, con un qualcosa di diverso, che è segno distintivo dell’epoca e dell’artista: il sentimento. 

    C’è difatti in questa donna, e in questi angeli contemplanti il mistero tutto umano della maternità, il torpore sereno di un momento intimo e silente. Sentiamo il fruscio del vento che sussurra ai fiori, gigli e anemoni (presi dalla tradizione cristiana), che smuove le piume delle ali angeliche e volteggia tra le fronde dell’albero di melarancio. Quest’ultimo probabilmente, simbolo di fertilità.

    «Sono invischiato a rendere nella figura principale del quadro tutta l’intensità dell’amore materno spogliato dalle cianfruscole che hanno servito per mille dipinti – e in un renderlo partecipe del movimento delle altre figure del quadro perché ne risulti un tutto omogeneo che impedisca qualunque altra interpretazione dell’occhio dell’osservatore – ma che difficoltà Dio mio. 

    Ti sei tu ben formato l’idea di ottenere da una tela una voce che annienti il vostro temperamento, i vostri gusti, la vostra educazione e vi faccia prorompere dall’animo il grido che l’universo, la terra, la vita è nulla…. Non vi è che la maternità?!!! Anche sulla tela non vi devono essere né colori né forme – né cielo né prati – né figure di uomini né di femmine ma un fiat che dice adorate la madre…»

    La prima esposizione alla Triennale di Milano

    La difficoltà dell’artista nel comporre l’opera, di cui ci sono testimoni molti bozzetti e il carteggio con il fratello Giuseppe, fu in realtà specchio della critica che questo dipinto suscitò. Accettata per una manciata di voti alla Triennale milanese del 1891 (la triennale del debutto del divisionismo italiano) fu oggetto di giudizi contrastanti che tendevano a rifiutare ‘l’idealità’ di questo dipinto in favore di una pittura verista e indagatrice del reale. In quella medesima sala della triennale vi era un’altra opera di simile tema: Le due madri di Giovanni Segantini. una tela questa caratterizzata sì da una tecnica simile o quantomeno fondata sui medesimi principi di quella di Previati, ma che non fuggiva dal reale.

    Un pittore idealista

    Previati dal canto suo, fu sempre scansato, in quanto nel suo essere pittore vi era anche l’essere poeta.

    Scriveva in un articolo il suo gallerista Grubicy: «Per il Previati la tavolozza è soltanto sorgente di poesia: per lui ogni colore è sentimento, è idealizzazione di immagine, è via a entrare nell’impenetrabile. A questo alto concetto egli tutto sacrifica. Chi non accetta questi propositi del pittore, chi non si sente chiamato a entrare in queste sottilità poetiche non guardi il quadro del Previati. Ci perderà la testa; e pretenderà che la testa l’abbia perduta il pittore. Egli ha veduto per sentire non ha veduto per vedere».

    E continuava l’artista: «Ma se il mio cervello è tormentato da un’idea astratta, mistica, indefinita nelle sue parti, la cui bellezza estetica risiede appunto in questa sua indeterminazione simbolica; se nel mio cervello questa idea, col cercare di incorporarsi e di manifestarsi, respinge con insistenza ogni immagine positiva che richiami alla realtà, e non trova la sua espressione se non mantenendosi in una specie di visione complessiva fluttuante, sintetica, di forme e di colori, che lascino appena intravedere il simbolismo o ideismo musicale e quasi sopratterreno del mio pensiero;

    perché non mi sarà permesso di tentare la ricerca di un suono, d’una formula più tassativamente appropriata, invece di valermi delle solite parole, dei soliti strumenti, delle solite formule, che servirebbero bensì ad esprimermi secondo le consuetudini, ma non mi soddisfano, perché parmi che qualsiasi richiamo alla realtà debba contrastare e distruggere la natura dell’immagine complessiva che io accarezzo nella mia mente?

    Dunque cercherò qualche mezzo che mantenga al mio pensiero il suo carattere vago, oscillante di visione o di sogno indeterminato che sintetizzi forme, linee e colore, in modo da escludere qualsiasi divagazione sui dettagli, costringa la mente del riguardante a lasciarsi cullare dal simbolismo decorativo complessivo della mia idea».

    Il Previati divisionista

    Previati sperimenta dunque la tecnica nuova del divisionismo, che trae le sue fondamenta dalle teorie ottiche sulla rifrazione della luce e sulla scomposizione del colore di Chevreul e Rood. Il divisionismo diveniva la tecnica ideale per rompere con gli schemi e le convenzioni del realismo percepite da Previati come un limite. E tuttavia non fu solamente un mero mezzo, poichè alla sua base vi era un concetto nuovo di pittura: ‘la pittura di idea’.

    Si noti la differenza sostanziale, che non è solo tecnica, tra la prima redazione di maternità e l’opera compiuta. Nella prima c’è ancora un’adesione ai modi della pittura scapigliata di Tarquinio Cremona, dalla quale lo stesso Previati aveva attinto in gioventù. 

    La tela e la fortuna del pittore

    La grande tela subì nel corso del tempo lo stesso destino che in qualche modo toccò all’intera opera pittorica di Previati. Pochi anni dopo l’esposizione venne inviata a Parigi, per poi tornare ed essere lasciata in depositi pubblici, poiché l’artista non potè pagare il trasporto e il noleggio di un magazzino. Venduta all’asta ad insaputa di Previati fu riacquistata per sua volontà dal Gallerista Grubicy, suo sostenitore, per poi essere per lungo tempo dimenticata. Soltanto negli ultimi decenni la figura di questo pittore è stata progressivamente recuperata quale personalità chiave della sua epoca. E Maternità permane un’opera programmatica e apicale nella sua arte, la tela che gli permise di affermare:

    «Ho passato la linea che separa la tenebra dalla luce».