• Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.
    arte,  attualità,  Dante,  Donne d'arte,  preraffaelliti

    Il canto V del Purgatorio: la storia di Pia dei Tolomei

    Il canto V del Purgatorio: luce e dolcezza

    Il canto V del Purgatorio dantesco è un teatro di emozioni e un perfetto e sintetico esempio del travagliato cammino che porta le anime in questo regno e, attraverso di esso, al Paradiso.

    «Io era già da quell’ombre partito,

    e seguitava l’orme del mio duca,

    quando di retro a me, drizzando ’l dito,

    una gridò: “Ve’ che non par che luca

    lo raggio da sinistra a quel di sotto,

    e come vivo par che si conduca!“.

    Li occhi rivolsi al suon di questo motto,

    e vidile guardar per maraviglia

    pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.»

    Ecco un dato essenziale di questo nuovo regno: la luce.

    Una luce atmosferica, protagonista di albe e tramonti.

    Una luce che ricorda a Dante e a molte delle anime cosa significhi vivere sulla terra. Quale importanza abbia avere un corpo, ed esserci qui ed ora, artefici e liberi nel presente (vedremo questo che senso avrà). Le anime del purgatorio si trovano a vivere quasi una seconda vita terrestre, perchè temporanea, e questo gli è permesso perchè in vita loro hanno scelto, fatto, creduto.

    Una luce che, meravigliosamente, dopo l’oscurità infernale, torna ad esistere e a dar vita alla bellezza e all’arte. Dante in questo passo della commedia dipinge, e se ne accorsero fino dall’antichità. 

    In questa miniatura vediamo il corpo del poeta fare da schermo alla luce solare. l’ombra e quindi il corpo è segno distintivo dell’uomo pellegrino, dell’uomo che sale, non già dannato, non ancora beato. La luce è qui per Dante il medium per dipingere coi versi quest’immagine nella mente del lettore.

    E’ costante dell’intero purgatorio questa ombra di Dante, come costante è l’appellarsi delle anime a lui.

    Una luce infine che è simbolo di salvazione, un riflesso di rugiada della beatitudine del paradiso, un antipasto della, prima o poi, ventura dolcezza

    Sarà quest’ultima a caratterizzare molte delle figure umane del purgatorio e a costituire forse la tematica più affascinante di questo V canto del purgatorio. 

    Il canto V del Purgatorio: i morti per forza

    Semplicemente le ultime tre terzine di questo V canto del Purgatorio, sarebbero sufficienti per fare esperienza di dolcezza. Possiamo permetterci però un cammino più simile a quello dantesco e il canto quindi lo attraverseremo tutto, seppure celermente, per meglio assaporarne il finale. 

    Ci troveremo ad attraversare folle di anime, con Virgilio che spinge Dante a non fermarsi e a colloquiare e camminare insieme. Dante sembra trovarsi in difficoltà, ma prosegue nel cammino.

    Canto V purgatorio
    Gustave Dorè, Canto V del Purgatorio

    Ora immaginate di essere in un museo. La prima cosa che Dante ci consegna di questo canto è una visione generale:

    «O anima che vai per esser lieta 

    […]

    deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?

    Noi fummo tutti già per forza morti, 

    e peccatori infino a l’ultima ora

    quivi lume del ciel ne fece accorti,

    sì che, pentendo e perdonando, fora 

    di vita uscimmo a Dio pacificati

    che del disio di sé veder n’accora».

    Pentendo, perdonando, pacificati: tre termini che riassumono il senso della vita di coloro che sono morti per morte violenta e, in generale, delle anime del Purgatorio. Tre termini con i quali raccontano brachilogicamente la loro intera vita, la loro morte e e la loro condizione presente.

    La morte di Jacopo del Cassero: lo strazio

    Dopo aver descritto la condizione condivisa di questa folla, un personaggio prende la parola e narra la sua storia: Jacopo del Cassero. Prega Dante di ricordarlo nella sua Fano, affinchè i suoi cari possano, pregando, permettergli l’espiazione dei peccati «purgar le gravi offese». Fu ucciso costui da sicari inviati dal tiranno d’Este nei pressi di Padova, questa la narrazione:

    Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, 

    quando fu’ sovragiunto ad Oriaco, 

    ancor sarei di là dove si spira.

    Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco 

    m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io 

    de le mie vene farsi in terra laco». 

    Che quadro che ci regala Dante, il ritratto d’un uomo còlto nella prigionia del corpo, avviluppato nel momento della morte, costretto al termine della sua vita dalla volontà altrui.


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    La storia di Bonconte: il pentimento

    GUstave Dorè, La morte di Buonconte, canto V del Purgatorio

    A questa storia, quasi stessimo osservando un dittico, Dante collega la seconda:

    Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 

    si compia che ti tragge a l’alto monte, 

    con buona pietate aiuta il mio!

    Anche questo secondo personaggio ancor prima di presentarsi chiede a Dante preghiere. La stessa richiesta sarà nella bocca del terzo personaggio.

    Il futuro (la preoccupazione per la preghiera) e il passato (la narrazione della loro uccisione) sono ricordo e speranza e sono il fil rouge che unisce le tre storie.

    Ma Dante è narratore e pittore arguto. Non ripete mai se stesso. E in ciascuno di questi quadri noi leggiamo tre diversi momenti della stessa morte.

    Con Jacopo del Cassero abbiamo percepito lo strazio. Con Bonconte comprendiamo il perchè queste anime sono al purgatorio nonostante i loro peccati: il pentimento.

    Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 

    […]

    Quivi perdei la vista e la parola;

    nel nome di Maria fini’, e quivi 

    caddi, e rimase la mia carne sola.

    Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi: 

    l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno 

    gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?

    Tu te ne porti di costui l’etterno 

    per una lagrimetta che ‘l mi toglie; 

    ma io farò de l’altro altro governo!”.

    Eccola, eccola la ragione vera, il secondo momento: il pentimento. La lagrimetta è il vero centro morale e fantastico del canto. Una lagrimetta che per il paradosso dell’amore cristiano vale la salvezza eterna. 

    L'immagine di Pia dei Tolomei: la dolcezza

    Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.
    Dante Gabriele Rossetti, jane Burden, Pia dei Tolomei.

    Ma siamo alla fine, Al terzo e ultimo quadro che compone questo trittico. Siamo ad una delle più celebri ed enigmatiche figure di donna su cui la critica combatte e s’arrovella.

    «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 

    e riposato de la lunga via», 

    seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

    «ricorditi di me, che son la Pia: 

    Siena mi fé, disfecemi Maremma: 

    salsi colui che ‘nnanellata pria 

    disposando m’avea con la sua gemma». 

    «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via»: E’ una delle entrate più incantevoli di tutta la letteratura. Con quale delicatezza e attenzione entra nella vicenda dantesca questo personaggio. Certo richiede quanto altri prima di lei avevano richiesto, ma lo fa mostrando premura per la stanchezza del pellegrino Dante.

    Questa donna passata alla storia come Pia de’ Tolomei è ad oggi ancora un mistero. Ciò che rimane di questa storia è la violenza che subì da parte del marito, il quale sospettando un tradimento l’avrebbe uccisa. 

    Quante Pia de’ Tolomei potremmo narrare oggi. 

    Rimane poi, al fondo di questa narrazione, la meraviglia di una vita splendidamente racchiusa in un verso: «Siena mi fé disfecemi Maremma» al cui centro permane il continuo fare e disfare proprio della vita terrena.

    Siamo dunque giunti al terzo momento di coloro che abbiamo fin qui definito morti per forza: la dolcezza.

    Dolcezza di donna che ha premura nei confronti di Dante. Dolcezza nel porgersi e nel chiedere il ricordo, con gentilezza. Dolcezza che è anticamera di pacebeatitudine.

    Pia dei Tolomei
    Pio Fedi, Pia dei Tolomei e Nello della PIetra

    Ancora Dante...

    Il canto XIII dell'Inferno: la vicenda di Pier delle Vigne

    Il canto XI del Paradiso: Francesco e madonna Povertà

  • arte,  arte contemporanea,  arte oggi,  attualità,  Novecento,  rinascimento

    Il padiglione Italia per Expo 2020 Dubai: quale bellezza?

    BEAUTY CONNECTS PEOPLE

    Il padiglione Italia per Expo 2020 Dubai: un crocevia di esperienze, relazioni, discipline e competenze che, tutte insieme tendono alla bellezza. Ma, quale bellezza?

    Quale bellezza?

    Quale bellezza unisce le persone?

    È su questa domanda che ci giochiamo non solo e non tanto il successo ad Expo 2020 Dubai, ma il futuro di un intero paese (e se vogliamo dell’umanità) che, se non si volge con sguardo rinnovato allo studio e al sacrificio dai quali germogliano scienza e cultura, è destinato a galleggiare sulla superficie di un bello circoscritto ai quadrati di instagram.

    La scelta della parola Bellezza affonda le sue radici nei significati originari del termine ‘bellus’ (forma antica di diminutivo di ‘bonus’). Bello è bene e verità secondo l’accezione platonica poi ripresa dal cristianesimo e da esso posta a fondamento di gran parte del patrimonio storico artistico di cui ci sentiamo ‘figli’. 

    Una bellezza ‘trinitaria’ dunque, che vive e si alimenta della complessità, dell’incontro, di continue e costanti connessioni, di discussioni e passi verso l’oltre. Una bellezza che ha a cuore la profondità e necessita di tempo, di sacrificio e di relazione. 

    Alberto Burri, cretto nero

    Questo è ciò a cui tendono, per vie e ambiti differenti, le opere, le creazioni, le riproduzioni e le idee che costellano il percorso del padiglione Italia a Expo 2020 Dubai.

    Dal sipario di corde realizzate con plastica riciclata, alla quasi perfezione dell’orologio atomico; dall’inedito sguardo del David di Michelangelo riprodotto magistralmente in scala 1:1, al cretto e ai cellotex di Alberto Burri

    Infine, quindi, una bellezza consapevole, che renda vibratile il cuore come le corde che attorniano il padiglione mosse dal caldo vento di Dubai. Perchè bello è ciò che dèsta l’animo.

    Una bellezza che con questa consapevolezza e queste certe radici, guardi al gigante futuro con lo sguardo giovane, sfidante e deciso del David.

    E mi pare che, con la recente notizia di voler destinare lo spazio del padiglione alla funzione di centro di restauro altamente specializzato per le opere dei paesi in guerra, stiamo già risollevando lo sguardo!


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  • arte,  arte contemporanea,  Dante,  medioevo

    Il canto XI del Paradiso: Francesco e madonna Povertà

    Il pellegrino Dante nei suoi canti lascia messaggi, denunce, storie, consigli. Anche in questo XI canto del Paradiso lo fa. Lo fa perchè questo suo viaggio, questi versi, gli hanno cambiato la vita. Perchè Dante scrive? 

    Nel primo canto della Divina Commedia il sommo poeta ci anticipa in realtà il motivo ultimo per il quale egli compì questo viaggio in versi:

    «ma per trattar del ben ch’io vi trovai

    dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte»

    Il ben: l’oggetto della narrazione, il desiderio ultimo del cammino.

    L'incipit dell'XI canto del Paradiso

    Ma veniamo al nostro XI canto del Paradiso al quale Dante dà avvio con queste parole:

    O insensata cura de’ mortali, 

    quanto son difettivi silogismi 

    quei che ti fanno in basso batter l’ali! 

    Chi dietro a iura, e chi ad amforismi 

    sen giva, e chi seguendo sacerdozio, 

    e chi regnar per forza o per sofismi,

    e chi rubare, e chi civil negozio, 

    chi nel diletto de la carne involto 

    s’affaticava e chi si dava a l’ozio,

    quando, da tutte queste cose sciolto, 

    con Beatrice m’era suso in cielo 

    cotanto gloriosamente accolto.

    (XI canto del Paradiso, vv. 1-12)

    Cosa cercano i mortali? Cosa cerchiamo noi qui su questa terra? per cosa battono le nostre ali? a cosa punta il nostro volo di così alto?

    Ora, San Tommaso d’Aquino, che sarà il personaggio narrante di questo canto, ci introdurrà in realtà al vero protagonista. Certo è che, con questo incipit, Dante dovrà proporci una via e presentarci un qualcuno che di volo e di vere ali si intenda. Ma chi è costui? Chi sarà questo maestro del volo?

    I due principi a guida della Chiesa

    La provedenza, che governa il mondo 

    […]

    due principi ordinò in suo favore, 

    che quinci e quindi le fosser per guida.

    L’un fu tutto serafico in ardore

    l’altro per sapienza in terra fue 

    di cherubica luce uno splendore.      

    Due principi dunque, la divina Provvidenza avrebbe inviato nel mondo a guida della Chiesa: Francesco «serafico in ardore» e Domenico che «per sapienza in terra fue». La figura del santo di Assisi verrà ampiamente illustrata in questo canto XI del Paradiso, mentre quella di San Domenico lo sarà nel canto successivo. Questa composizione, da Dante attentamente studiata, ha spinto la critica dantesca a parlare di ‘dittico’: due uomini e due santi posti l’uno di fronte all’altro in una continuità inestricabile, poichè centrale fu il ruolo che ebbero nel rinnovamento della Chiesa. Qui, tratteremo unicamente della prima tavola di questo aureo dittico. 


    Assisi come Oriente

    Dante non ha ancora svelato il nome di questo principe e prima di dare forma al personaggio sceglie di dipingere il paesaggio della tavola:

    Intra Tupino e l’acqua che discende 

    del colle eletto dal beato Ubaldo, 

    fertile costa d’alto monte pende, 

    onde Perugia sente freddo e caldo 

    da Porta Sole; e di rietro le piange 

    per grave giogo Nocera con Gualdo.

    Di questa costa, là dov’ella frange 

    più sua rattezza, nacque al mondo un sole, 

    come fa questo tal volta di Gange.

    Però chi d’esso loco fa parole, 

    non dica Ascesi, ché direbbe corto, 

    ma Oriente, se proprio dir vuole.  

    (Canto XI del Paradiso, vv. 43-54)

    Un personaggio d’Assisi. Anzi, un personaggio da Oriente, poichè da questa cittadina umbra sorse un sole. Si noti qui l’accostamento meraviglioso in termini lessicali tra Ascesi e Oriente: un qualcosa che sale, che tende continuamente e instancabilmente all’alto. Una tendenza che ricalca il desiderio dantesco in questo viaggio ultraterreno, è l’itinerario che porta alla beatitudine, è il cammino che il poeta ci propone.

    La donna amata che pianse «con Cristo in su la croce».

    Di seguito, il sommo poeta che non ha ancora chiamato per nome questo sole, inizia la narrazione di una love story millenaria. Dante comprende che è l’amore ad illuminare le storie degli uomini e sceglie di narrarci la storia di questo principe, di questo sole assisano, attraverso l’amore.

    ché per tal donna, giovinetto, in guerra 

    del padre corse, a cui, come a la morte, 

    la porta del piacer nessun diserra;

    […]

    poscia di dì in dì l’amò più forte.

    Questa, privata del primo marito, 

    millecent’anni e più dispetta e scura 

    fino a costui si stette sanza invito;

    né valse esser costante né feroce, 

    sì che, dove Maria rimase giuso,

    ella con Cristo pianse in su la croce. 

    (Canto XI del Paradiso, vv. 58 sgg.)

    Una love story che trova la sua vocazione ultima in uno sposalizio e come in tutti i matrimoni il focus visivo è la sposa. Chi è questa sposa? Chi questa donna che quando Maria rimase giù, a guardare e piangere il figlio crocifisso, ella con Cristo pianse in sulla croce. Dov’è questa donna? Chi mai l’ha vista questa femmina al fianco di Cristo? Vedete quale genio è Dante a farci credere che tutte le crocifissioni fino ad allora dipinte potessero nascondere in realtà una donna. Chi mai ha visto una crocifissione con una sposa sulla croce insieme a Cristo?

    Cimabue, Crocifissione del transetto sinistro della Basilica di San Francesco
    Giotto, Crocifissione

    Francesco e madonna Povertà

    Dante sta parlando in modo misterioso, questa narrazione è volutamente poco chiara, nebulosa. 

    Ma perch’io non proceda troppo chiuso, 

    Francesco e Povertà per questi amanti 

    prendi oramai nel mio parlar diffuso.      

    Allora Dante ci illumina, facendoci tornare indietro a ciò che finora ha detto. Ora? la vedete la sposa in quelle crofissioni? 

    Essa, Povertà è l’anello di congiunzione. Lui, giovinetto innamorato e finalmente chiamato per nome è Francesco

    Questo sposalizio tra Francesco e madonna Povertà è fecondo, questo amore è ricco:

    tanto che ‘l venerabile Bernardo 

    si scalzò prima, e dietro a tanta pace 

    corse e, correndo, li parve esser tardo. 

    Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! 

    Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro 

    dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 


    Attraverso la figura di Francesco Povertà diviene ricchezza, ben ferace, desiderio di sequela. In un turbinio di versi incalzanti i primi seguaci entrano nella vita del santo compiendo una precisa scelta di vita: ‘scalzarsi’.  

    E tornano allora in mente le domande di inizio canto: dietro a cosa andiamo noi? Per cosa battiamo le nostre ali quaggiù?


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    Le immagini di Francesco da Subiaco a Giotto

    Affresco con Francesco d'Assisi presso il Sacro Speco di Subiaco.

    Conosciamo molte immagini di Francesco. Probabilmente l’affresco conservato nell’Eremo di San Benedetto presso Subiaco è il più antico ritratto che ci restituisce una sua immagine verosimile. In questo ritratto Francesco  non è ancora santo, non è ancora stimmatizzato. Questi due elementi iconografici permettono di ipotizzare una datazione anteriore al 1226.

    Più celebre è l’immagine che Cimabue ci lasciò di Francesco nella Chiesa inferiore di San Francesco in Assisi. In questo volto, in questa figura esile sembra trasparire la descrizione che Tommaso da Celano riporta nelle sue biografie: 

    «Servus Dei Franciscus, persona modicus, mente humilis, professione minor»

    Sarà poi Giotto, nel ciclo delle storie di San Francesco nella Basilica omonima ad Assisi, a incorniciare l’immagine del Francesco santo colui che, secondo a Cristo (alter Christus), è vocato al rinnovamento e alla riedificazione della Chiesa con lo sguardo volto all’insù. 

    Cimabue, San Francesco d'Assisi, chiesa inferiore di San Francesco d'Assisi
    Giotto, spoliazione di San Francesco, Basilica di San Francesco in Assisi

    Dalla spoliazione alle ali di Francesco

    Dante in questa biografia che è l’XI canto del Paradiso cela messaggi. Sceglie l’immagine di Francesco che ritiene essenziale, che reputa probabilmente più viva e vera per l’esperienza cristiana propria a lui e agli uomini del Trecento. L’immagine fondante di tutti gli altri ‘Francesco’ rappresentati: la Povertà.

    Camminando per la navata della chiesa inferiore di Assisi, si è attorniati da due storie che corrono parallele: quella di Cristo sulla destra e quella di Francesco sulla sinistra. Due storie di spoliazione, due storie di nudità. Francesco che si spoglia delle vesti, Cristo che viene spogliato, Francesco che riceve le stimmate e la sua morte, Cristo crocefisso e morto.

    Francesco è alter Cristus, e lo è in questo canto e in questa navata poiché sposo di madonna Povertà fino alla sua morte terrena:

    «a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, 

    raccomandò la donna sua più cara, 

    e comandò che l’amassero a fede;

    e del suo grembo l’anima preclara 

    mover si volle, tornando al suo regno, 

    e al suo corpo non volle altra bara». 

    (Canto XI del Paradiso, vv. 106-117)

    Nudo sulla paglia Cristo nascente, nudo sulla piazza Francesco che sceglie di seguire il Padre suo che è nei cieli nascendo a vita nuova, nudo sulla croce Cristo, nudo sulla terra nuda Francesco stimmatizzato.

     

    Franz von Bayros, illustrazione del Canto XI del paradiso, Vienna 1921.

    Ecco in quest’ultima parola ciò che trasforma la povertà in ricchezza, ecco il ben che Dante trova in questo canto: le stimmate.  Le stimmate, agiscono e vivono sulla carne viva, sulla nudità. Sono il simbolo e il sigillo dell’aderenza a Cristo. Sono, in questo meraviglioso particolare dell’opera di Franz von Bayros le ali di Francesco. Ali serafiche, ali che non si sciolgono, ali che vivono a contatto con quel sole, ali che salgono come Francesco, come Dante, come tutti noi destinati alla pace e alla beatitudine.

    Non è caso che al fondo della navata di spoliazione prima citata si arrivi all’altare, proprio sopra la tomba del Francesco terreno e sotto quattro magnifiche vele. Alzando gli occhi tra la luce dell’oro appare lo sposalizio di Francesco con madonna Povertà che, insieme alle due virtù castità e obbedienza, apre alla raffigurazione della gloria di Francesco, splendente e luminoso nel suo essere creatura di Dio.

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  • arte,  attualità

    Il padiglione Vaticano per EXPO Dubai 2020

    «Deepening the connection»

    La presenza della Santa Sede a Expo Dubai 2020

    Il padiglione vaticano per Expo Dubai 2020 è finalmente pronto ad accogliere fedeli visitatori. Fin dalla prima Esposizione Universale la Santa Sede ha partecipato attivamente a questi momenti internazionali mettendo insieme energie, cammini ed esperienze da portare e condividere con e nel mondo. 

    Expo Dubai 2020 rappresenta la prima Esposizione Universale nei paesi arabi e di religione mussulmana e in quanto tale un importante luogo di incontro e, oggi più che mai, un’occasione di dialogo per conoscersi e concepire insieme idee per un nuovo futuro. Questo è infatti il main topic e quindi il title di questo evento: 

    “Connecting Minds, Creating the Future”.

    È dunque attraverso il concepirsi parte di un’unica umanità e abitanti di un comune pianeta che possiamo catalizzare energie e idee, orientandoci insieme a soluzioni e progetti che possano migliorare noi, il mondo e che sappiano far fronte alle sfide della realtà globale.

    In questo contesto si inseriscono le riflessioni e i desideri di Papa Francesco che hanno tracciato la via per l’ideazione e la realizzazione del ‘prezioso’, seppur piccolo, padiglione Vaticano per Expo Dubai. Sono queste infatti le parole del pontefice che accolgono il visitatore: 

    «It is my desire that, in this our time, 

    by aknowledging the dignity of each human person, 

    we can contribute to the rebirth of a universal aspiration to fraternity. 

    Fraternity between all men and women»

    L'arte, la scienza e la fede insegnano il dialogo.

    Il padiglione Vaticano per Expo 2020 nel nome di Francesco

    Un padiglione piccolo eppure ricco di contenuti e di bellezza. Un percorso incardinato sul significato profondo dell’incontro, che ne costituisce il fil rouge, la modalità e l’obiettivo.


    Il viaggio di San Francesco in Oriente e il rinomato incontro con il Sultano presso Damietta nel 1219 sono le tracce sulle quali questo cammino si innesta. Questo importante momento della storia è presente nel padiglione grazie ad una riproduzione dell’affresco giottesco della Basilica di San Francesco d’Assisi. Lo spettatore si trova qui ad entrare nella nicchia divenendo spettatore e attore, parte di  un dialogo secolare, crocevia di sguardi e azioni. 

    Su questo si innesta il più recente incontro di Abu Dhabi (2019, ben ottocento anni dopo) tra Papa Francesco e il Grande Imam Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib. In quella sede fu firmato un importante documento e la presenza oggi, della Santa Sede, presso Expo Dubai 2020, si inserisce su questo solco, volendo dare continuità alla Dichiarazione sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

    I manoscritti vaticani per il padiglione Vaticano a Expo Dubai 2020

    Il padiglione Vaticano per Expo Dubai, ideato e progettato da Mons. Trafny e dall’Architetto Giuseppe Di Nicola (DiNicolaDesign), ospita tre importanti manoscritti provenienti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. 

    Primo tra questi in esposizione e significativamente attiguo alla riproduzione digitale della Torre dei Venti, sono l’Osservazioni sulla riforma gregoriana del calendario dell’astronomo portoghese Tomás de Or.

    Secondo e centrale nell’intero percorso espositivo per pregio e importanza, un palinsesto di inestimabile valore, risalente agli inizi del IX secolo e probabilmente unica testimonianza ad oggi esistente di quel centro culturale e scientifico che fu la House of Wisdom di Baghdad.

    Ultimo è il Liber Abbaci di Leonardo Pisano (meglio conosciuto come Fibonacci) sull’introduzione dei numeri arabi in Occidente (1202-1228).

    Tre testi, esposti a Expo Dubai 2020, che sono testimoni di un costate interscambio valoriale tra Oriente ed Occidente, di crescita e sviluppo reciproco, di conoscenze trasmesse e bellezze condivise.

    La Creazione di Adamo di Michelangelo: figli e 'Fratelli tutti'

    Centro dell’intera concezione e pupilla luminosa del padiglione è la riproduzione della Creazione di Adamo del soffitto michelangiolesco della Cappella Sistina. La realizazzione ‘a mano’ dell’opera e la sua collocazione in un alveo luminoso aprono ad una percezione sensoriale ed emozionale. Lo spirito divino dà vita e valore all’intera umanità e gli uomini si scoprono figli di un unico dio e fratelli.

    Ecco dunque che, accompagnati dalla giovani legati alla spiritualità francescana in quello che intende essere “un incontro tra estetica, scienza e fede sotto l’insegna della fraternità e del dialogo interculturale e interreligioso”, i visitatori del padiglione si troveranno a fare esperienza di quella fratellanza che Papa Francesco ha posto a fondamento della sua ultima Enciclica Fratelli Tutti, ispirata dall’esperienza di San Francesco e in Assisi firmata lo scorso 4 ottobre 2020. 

    Dialogo e incontro sono dunque fil rouge, modalità e obiettivo ultimo di questa presenza, avvalorati e sostenuti da pezzi di storia, scienza, fede e bellezza: vie e cammini per approfondire la conoscenza e la relazione. 

    La Creazione di Adamo presso il padiglione Vaticano per Expo Dubai 2020

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